L’editoriale del direttore Nicola Perrone
ROMA – Mentre in Ucraina l’esercito invasore russo continua a bombardare, distruggere e massacrare, tutta l’attenzione dell’Europa è concentrata sul grano: milioni e milioni di tonnellate ammassate nei silos bloccate dall’esercito di Putin. Il mondo ne ha bisogno, soprattutto i paesi poveri che ora rischiano la carestia alimentare.
In Europa è scattato l’allarme rosso, perché la fame costringerebbe di nuovo milioni e milioni di persone a raggiungere le zone dove c’è da mangiare. Putin se la ride, tutti adesso sono lì a pregarlo di far partire le navi, con lui che sfogliando la margherita risponde che prima vuol sapere dove quel grano verrà spedito. Visto come agisce la sua super corrotta cricca al potere, di sicuro anche su quel grano bisognerà prima pagare il ‘pizzo’. I commissari europei si barcamenano, di qua e di là, con il terrore di lasciare i cittadini europei senza energia e gas e, a loro volta, a rischio invasione di affamati.
Chiaro che bisogna muoversi facendo attenzione, ma proprio per questo bisogna essere inflessibili e seri. In Europa, invece, ognuno sembra pensare solo al proprio paese-tornaconto, come si è visto col Cancelliere tedesco Sholz che parlando a Davos ha citato solo quello che sta facendo la sua Germania senza mai nominare l’Unione europea.
Il premier Mario Draghi cerca in qualche modo di mettere l’Italia in buona luce, anche se le polemiche scoppiate sul piano di pace italiano – ufficiale? non ufficiale? solo una bozza sconosciuta ai più e fatta circolare non si sa come, poi stroncato da tutti gli interessati a partire dal russo Dmitry Medvedev, ex premier burattino di Putin, che lo ha ridicolizzato così: “Sembra che non sia stato preparato da diplomatici, ma da scienziati politici locali che hanno letto i giornali provinciali e operano solo con i falsi ucraini” – fanno risalire la quota di inaffidabilità che da sempre ci accompagna.
E comunque Draghi ha chiamato Putin, ha chiesto di riprendere a discutere di negoziato, di pace, si è sentito rispondere con una raffica di no, pure sul via libera al grano, alla fine, il dittatore russo si è fatto una risata. Se ne frega la Gran Bretagna del premier Boris Johnson, uscito dall’Europa ora vuol conquistare i paesi dell’Est promettendo armamenti a più non posso e assicurando protezione nucleare. E anche lui brinda di fronte all’Europa disunita. Fino a quando si potrà tollerare, infatti, un personaggio come Viktor Orban, premier ungherese, che andando a salutare la sua amica Le Pen in Francia si è scagliato di nuovo contro le sanzioni europee contro Putin accusando i burocrati di Bruxelles e i partiti di sinistra di non difendere i cittadini. Intanto approfitta della situazione imponendo il terzo stato di emergenza in Ungheria, che consente al suo Governo di scavalcare il Parlamento con i suoi decreti. Come non vedere che anche qui si sta sperimentando quello che Putin in Russia ha già messo in pratica: comanda uno solo, tutto il resto è una inutile perdita di tempo. Prima o poi, se si vorrà garantire il valore dell’idea europea, bisognerà che simili figuri non possano boicottare l’Unione, lavorando di fatto per quelli che vogliono distruggere la Democrazia, la libertà di discutere e confrontarsi, di scegliere da chi farsi governare senza poi ritrovarselo a vita.
Per quanto riguarda il dramma della guerra poi anche qui noi europei stiamo rimediando solo brutte figure. Mentre gli Stati Uniti, lontani, si dicono pronti a mandare armi sempre più potenti, come reclamano gli ucraini, oggi il presidente Zelensky ci ha criticato con parole molto dure: “Per quante settimane ancora l’Unione europea cercherà di concordare un sesto pacchetto? Naturalmente sono grato agli alleati che stanno sostenendo nuove sanzioni. Ma da dove prendono il potere le persone che bloccano questo sesto pacchetto? Perché possono detenere un tale potere?… La pressione sulla Russia è letteralmente una questione di salvare vite. E ogni giorno di procrastinazione, debolezza, varie controversie o di proposte per ‘pacificare’ l’aggressore a spese della vittima significa semplicemente che più ucraini vengono uccisi”.
Parole che hanno spinto Draghi a prendere in mano il telefono e chiamare Zelensky. Il colloquio si è focalizzato sugli ultimi sviluppi della situazione sul terreno, con particolare riguardo alle regioni orientali del Paese. Draghi, fanno sapere da Palazzo Chigi, “ha assicurato il sostegno del governo italiano all’Ucraina in coordinamento con il resto dell’Unione Europea”. I due Presidenti hanno inoltre discusso delle prospettive di sblocco delle esportazioni di grano dall’Ucraina per far fronte alla crisi alimentare che minaccia i Paesi più poveri del mondo. Il Presidente Zelensky ha espresso apprezzamento per l’impegno da parte del governo italiano e ha concordato con il Presidente Draghi di continuare a confrontarsi sulle possibili soluzioni. Insomma, parole che dovrebbero stemperare ma che non fanno altro che alzare il senso di impotenza. A meno di non pensare che l’impotenza sia la via per arrivare alla pace. Quella dei sensi di sicuro.