ernesto ferrara
Gli orlandiani vogliono rimandare le primarie per il segretario regionale. Ma anche sul candidato è bagarre nel partito
Confusione e timori. Divisioni e perplessità. Il Pd tenta il rilancio fissando la data delle primarie aperte per eleggere il nuovo segretario regionale il prossimo 14 ottobre e subito si ritrova assediato dai dubbi. Prima di tutto sullo sprint che la data impone: le candidature vanno presentate entro il 10 settembre, praticamente ambizioni e progetti vanno costruiti a tempo record sotto l’ombrellone in questo agosto. « Rimandiamo tutto di un mese», invoca la minoranza orlandiana e per un rinvio si sono già espresse pure le direzioni di due federazioni, Arezzo e Viareggio.
Ma anche sui nomi fin qui circolati sono solo tormenti: anche nella maggioranza renziana si raccolgono solo timidi favori sulla figura che avrebbe dovuto aggregare tutti, quella del sindaco di San Casciano Val di Pesa Massimiliano Pescini mentre già fioccano spinte e autocandidature alternative: saltata l’ipotesi della prima ora, l’ex deputato Lorenzo Becattini che va verso la presidenza di Publiacqua si rincorrono le ambizioni del deputato pisano Federico Gelli e del consigliere regionale piombinese Gianni Anselmi, del capogruppo regionale Leonardo Marras , dell’eurodeputato Nicola Danti e del leader orlandiano Valerio Fabiani. C’è chi ancora non esclude nemmeno una corsa del sindaco di Campi Bisenzio Emiliano Fossi, che pare potrebbe andare oltre il recinto della minoranza orlandiana. Mentre la Lega già pensa alla battaglia campale delle amministrative di Firenze 2019 con le prime candidature al Consiglio comunale che saranno annunciate – dice il coordinatore toscano Manuel Vescovi – già a fine settembre, nel Pd è ancora “ sindrome ovosodo”. Come nel film di Virzì, quella sensazione di un malinconico stallo che dura da mesi e non trova uno sbocco.
Riusciranno i dem toscani a ritrovare la spinta per riconquistare la perduta egemonia o la slavina grillo- leghista travolgerà tutto anche alle amministrative dell’anno venturo ( oltre 150 Comuni tra cui Firenze, Prato, Livorno) e poi alle regionali del 2020? Nel documento congressuale approvato in direzione due settimane fa il Pd mostra consapevolezza del rischio leghista, manifesta timore per il rito di ballottaggi ormai trasformati in “ tutti contro i dem” e riconosce che « governare bene non basta, chi imposta le campagne elettorali sul gran lavoro fatto perde». Sull’economia si avventura però in un’analisi straniante tanto è ottimistica: la tesi di fondo è che la Toscana è in ripresa e si deve adesso solo rimettere il Pd in sintonia con la crescita. Basterà?
Intanto è sui nomi che si affastellano i dilemmi. Pescini è il profilo su cui sembrano aver fatto sintesi i big del campo renziano, dall’ex ministro Lotti al sindaco Nardella al presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani, ma nella base renziana il suo nome non fa breccia, soprattutto fuori dall’area di Firenze: «Bravo amministratore ma non all’altezza di una sfida da far tremare i polsi: se cadono Palazzo Vecchio e poi la Toscana siamo finiti » è la tesi. Non risultano su Pescini pronunciamenti da parte dell’ex premier e segretario Pd Matteo Renzi, concentrato sulla Leopolda di fine ottobre ( 19- 21), in cui a queste latitudini si continua a riporre qualcosa di simile a un’attesa messianica. Per ora è la bagarre che regna sovrana nei dem: « Serve un congresso vero, si parli di discontinuità », chiede la consigliera regionale orlandiana Alessandra Nardini. Nessun rinvio, ribattono i renziani.