Tagli e nomine
di Mario Lancisi
Vento di cambiamenti nella Chiesa toscana: un terzo delle 17 diocesi nel giro di 8 mesi potrebbero avere una nuova guida. Sei vescovi sono a un passo dal compimento dei 75 anni, data che coincide con la pensione, e uno di questi è il cardinale Giuseppe Betori (scadrà nel febbraio del 2022), a capo dal settembre 2008 della diocesi di Firenze, la più importante e popolosa della Toscana con oltre 839 mila abitanti. La partita delle nomine riguarda Grosseto (l’attuale Rodolfo Cetoloni è scaduto a gennaio), Massa Carrara, Volterra, Fiesole, Arezzo e per ultima Firenze. Ed è probabile che delle nomine toscane si sia cominciato a parlarne nei corridoi dell’Ergife Palace Hotel di Roma, dove ieri papa Francesco ha aperto l’assemblea della Cei. Ad accoglierlo c’erano, tra gli altri, due prelati toscani, il presidente Gualtiero Bassetti e uno dei vice, il fiesolano Mario Meini, che anche lui a novembre compirà l’età della pensione. Le nomine sono solo una delle partite in ballo, l’altra è quella degli accorpamenti delle diocesi, tema caro al papa, ma ostico a molti vescovi che devono tenere a bada la contrarietà dei fedeli, attaccati alle istituzioni civili e religiose. Si sa che la chiusura o l’accorpamento di un Comune, di una Prefettura, di qualsiasi ente, diocesi comprese, ai cittadini non è granché gradita. Anche se le dimensioni e i costi non sono più sostenibili. È il caso delle diocesi: diminuiscono i preti e i proventi, soprattutto in seguito alla pandemia, e i bilanci delle Curie sono a rischio.
E il papa che «viene da lontano», da quella diocesi, Buenos Aires grande quanto la Toscana, non può vedere di buon occhio realtà come Montepulciano-Chiusi-Pienza con neanche 70 mila abitanti. O di Pitigliano-Sovana-Orbetello (70.129 abitanti) e Volterra (80.947), quest’ultima spalmata in maniera un po’ bizzarra su cinque province diverse (Pisa, Firenze, Siena, Livorno e Grosseto).
Ma l’accetta, che forse piacerebbe al papa, non sembra possibile: la Toscana e l’Italia non sono l’Argentina, la nostra è una storia di feudi e comuni, e non è facile rinunciare alla nostra identità anche religiosa.
Allora sembra prevalere una via mediana che unisce due diocesi giuridicamente autonome l’una dall’altra «in persona episcopi», vale a dire un Vescovo per due diocesi differenti. È quello che potrebbe succedere in Maremma dove al posto di mons. Cetoloni potrebbe andare mons. Giovanni Roncari (frate cappuccino), così riunendo la sua attuale diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello con quella di Grosseto.
La partita politicamente più attesa però è quella delle nomine. Firenze potrebbe non essere più sede cardinalizia, destino peraltro già capitato a città anche più importanti come Milano, che è la diocesi più popolosa di Europa, Napoli, Torino e Palermo. Papa Francesco ama sparigliare le carte. Si racconta che quando nominò a sorpresa l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice gli confessò che il suo nome figurava all’ultimo posto della lista che gli era stata presentata: «Per questo ti ho scelto». Ma al di là delle nomine a sorprese a cui ci ha abituato, ci si chiede se papa Francesco, dopo la nomina di vescovi vicini, come quelli di San Miniato, Pescia, Lucca e Siena, vorrà conferire la sua impronta a tutta la Chiesa toscana. Una Toscana bergogliana?
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