di Monica Guerzoni
ROMA «Verdini ‘na volta serve a uno, ‘na volta serve a un altro… tutti lo disprezzano e tutti lo vogliono», sciorina elogi con accento casertano Vincenzo D’Anna, ebbro per un ritorno in scena che sa di rivincita e vendetta. A Palazzo Madama i verdiniani del gruppo Ala non sono stati determinanti, ma i loro dodici voti hanno reso ininfluente Mdp.
«A Bersani non è piaciuto che abbiamo votato il Def — ridacchia D’Anna —. Ha rotto le scatole a forza di chiamarci cuffariani, basta con improperi e mascalzonate e basta vacche nel corridoio. Miguel Gotor finanche il colore dei mocassini di Denis era riuscito a criticare! Ora basta, siamo fatti di carne umana pure noi». Pochi passi più in là, ecco la versione di Gotor: «Per tutta la legislatura Renzi ha governato con una maggioranza fantasma. Lo dico con distacco, come l’entomologo che guarda a un insetto».
Verdini è tornato e gongola: «È andata bene, non potevamo far mancare i nostri voti». I suoi sognano in grande e puntano dritti alla grande coalizione tra Pd e Forza Italia. «Siamo francescani e non domenicani, non chiediamo posti ma riforme», declama il socialista Lucio Barani nel giorno del «poverello di Assisi». Applaude anche Verdini, i capelli bianchi fonati con cura maniacale e un sorriso che esprime quel che i fedelissimi pensano: «Denis è uno che la politica la vede prima».
Dei voti di Verdini, Gentiloni avrebbe fatto volentieri a meno. Luigi Zanda ha telefonato al presidente emerito Napolitano, poi è andato a caccia di scialuppe in Forza Italia e tra i dieci senatori di Idea, ma il gruppo di Quagliariello non ha mostrato crepe. E quando l’ex ministro delle Riforme incontra alla buvette il bersaniano Bubbico, fresco di dimissioni da sottosegretario, si complimenta per la «coerenza» del collega: «Bravo Filippo, hai fatto quel che avrebbe dovuto fare Alfano due anni fa. Dimettersi, dare l’appoggio esterno e tenere per le palle il governo Renzi».
Tra i marmi di Palazzo Madama il tema è questo, è la scelta di Mdp di tenersi «le mani libere» spostando verso destra l’asse della maggioranza. Una pensata che gli amici di Pisapia attribuiscono a D’Alema. Bruno Tabacci è venuto in trasferta dalla Camera per addossare all’ex premier il «suicidio» del centrosinistra: «Pisapia è amareggiato, la scissione ha lasciato uno strascico di veleni. Mdp sta diventando una piccola sinistra e questo non ci interessa».
Sugli smartphone dei bersaniani arriva la locandina di stasera a Ravenna, il ritorno in campo di Vasco Errani al fianco di Pisapia e Bersani. «È un buon tridente», si esalta Gotor. Ma i lanci di agenzia sono tutti per D’Alema, che Pisapia ha definito divisivo. Zanonato è «sconcertato», Paolucci respinge le «menzogne della propaganda renziana» e smentisce che il fondatore di Mdp sia anche il «leader occulto». Intanto il dem Giorgio Tonini cita Pajetta su «la differenza tra cretini e dirigenti politici» e i giornalisti vanno a caccia di «pisapiani doc». Una specie rara, da quando l’ex sindaco di Milano ha incaricato il suo portavoce di smentire gli autoproclamati. Dal gruppo misto si sono fatti avanti in sei (Molinari, Bencini, Orellana, Romani, Stefàno, Uras) e il drappello di quelli che «il centrosinistra non si fa senza il Pd» è variegato assai, fra dipietristi e cinquestelle pentiti. Il sentimento della giornata è nelle parole di Angelo Sanza, altro «pisapiano» in cerca di un tetto: «A fine legislatura qui passa tutto, anche senza quelli di Mdp. I peones votano qualsiasi cosa pur di tenere in piedi il governo». Fine della politica e tutti in fila per l’amatriciana.
- Giovedì 5 Ottobre, 2017
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