E’ l’avverbio che parla dei grands boulevards aperti dal barone Haussman nel cuore di Parigi, per assecondare tenentini e grisettes , possidenti e midinettes nel piacere di flâner comodamente da un locale all’altro, salvo sedersi a degustare un bicchiere di assenzio per assistere dietro una vetrina al passeggio di carrozze e pedoni tra viali e controviali.
Per l’impronta medievale del suo centro storico, e anche per l’indole riservata dei suoi abitanti, Firenze fino agli albori del ‘900 non ha avuto grandi dehors. Anche le sue strade più ampie, a giudicare dal nome, da via Maggio a via Larga, non sarebbero bastate a ospitare la terrasse di un caffè parigino. Vita mondana e bohème fervevano piuttosto nei fumosi retrobottega del caffè Michelangelo in cui i macchiaioli anticipavano l’arte del pointillage e Collodi componeva le avventure di Pinocchio . I veri cambiamenti avvennero con lo sventramento del centro e la nascita dell’allora piazza Vittorio. Ma, come documentano le foto d’epoca, i dehors di allora erano strutture stagionali, in certi casi ombrelloni aperti a maggio e riposti con le prime brume. La diffusione di strutture esterne permanenti è recente, conseguenza di due fenomeni concomitanti: la pedonalizzazione del centro e l’afflusso di crescenti flussi turistici. I dehors ormai non interessano più solo i viali o piazza della Repubblica, ma strade relativamente anguste. Si montano pedane, si realizzano grandi acquari riscaldati a gas da poco ecologici «funghi». E pazienza se nei mesi invernali rimangono sottoutilizzati. La «visibilità» che la loro presenza assicura ai locali compensa tasse e costi d’installazione.
Il Comune, finalmente, si è reso conto degli inconvenienti che un’indiscriminata concessione del suolo pubblico comporta per i residenti, per la viabilità, per la stessa immagine cittadina. Ha imposto una stretta per le nuove concessioni e introdotto una politica tariffaria che incoraggia chi occupa il suolo pubblico con strutture non più permanenti. È, come la lotta ai risciò abusivi o al «mangificio», uno dei tanti aspetti di una politica volta a contrastare l’egoismo di categorie abituate a considerare Firenze un limone da strizzare. Molti provvedimenti sono stati presi quando il danno era già stato fatto, ma d’altra parte non è facile togliere quello che forse con troppa leggerezza era già stato concesso. Resta il fatto che il tentativo di regolamentare un settore in cui sono in gioco radicati interessi, anche di elettori dell’odierna maggioranza, non può non essere apprezzato. È giusto ricordare, e ricordarsi, che Firenze non è Parigi. E nemmeno Trastevere.
abato 30 Dicembre 2017, Corriere Fiorentino.
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