L’identità di una comunità è sicuramente importante, andrebbe usata con attenzione con una logica di apertura, quella che i tedeschi chiamano, “heimat”: casa, meglio focolare. Il luogo dove si vive, dove si decide di vivere che non è detto che sia il posto nativo. Tirarla in ballo, l’identità, anche quando non ce ne sono i motivi potrebbe essere dannoso e nuocere alla stessa collettività che si vorrebbe unire dentro dei valori. Nel caso in questione i valori sono da attribuirsi a delle opere d’arte e più precisamente a due capolavori di Daniele da Volterra la cui proprietà era della famiglia D’Elci. Si rivendica una senesità culturale del pittore che non è avvalorata dagli studiosi della materia, almeno che non si intenda per senesità la proprietà di un privato. Stiamo parlando di opere che approdarono a Siena per via matrimoniale nel 1888, quando Guglielmo Ricciarelli sposò Laura di Achille Pannocchieschi d’Elci. In più le opere in oggetto, l’Elia nel deserto (1543-47) e la Madonna col Bambino, san Giovannino e santa Barbara (1548) nascono in un clima tutto romano e michelangiolesco: ”Queste due opere sono connesse da un legame profondo, testimoniano di un momento cruciale tanto per l’artista quanto, più in generale, per la pittura cinquecentesca nell’Italia centrale. E fu un momento cruciale legato soprattutto a Roma, alla capitale pontificia, ove Daniele da Volterra operò e realizzò le due opere”. Quindi nessun collegamento con Siena se non il fatto di essere state di proprietà di un privato e come tali trattate, quindi vincolate si, ma non esposte al pubblico. L’operazione messa in campo dalla Soprintendenza di Siena ha avuto diversi risultati positivi. Il primo, farle comprare allo Stato tramite un soggetto che ha le disponibilità economiche per farlo come, gli Uffizi. Secondo, riunirle e permettere la loro esposizione al pubblico senza dividerle, anzi permettendo che potessero essere messe insieme a una terza opera: la Strage degli Innocenti che l’artista dipinse per la chiesa di San Pietro a Volterra (PI) nel 1557. Cosa aggiungere? Che quando si prendono delle posizioni pubbliche bisognerebbe almeno essere informati, che non basta avere un solo consigliere anche se storico dell’arte, che sarebbe stato opportuno chiedere a chi materialmente ha fatto l’operazione: la Soprintendenza di Siena. Verificare con il ministero la situazione e vedere se ci sono degli spazi operativi, ma per fare cosa? L’artista, Daniele da Volterra è chiaramente di formazione romana e michelangiolesca, tuttalpiù si può pensare ad una collocazione fiorentina, ma a Siena sembra essere filologicamente difficile. Anche perché non c’è mai da dimenticare che la Pinacoteca di Siena risponde al Polo museale fiorentino. Cosa diversa sarebbe se le amministrazioni comunali dal 2001 in poi avessero ottenuto lo spostamento della Pinacoteca al Santa Maria della Scala cosa che non è avvenuta, anzi. Si fa del tutto per non ottenere questo importante risultato, gli accordi con il Polo sono parziali (Collezione Spannocchi, l’Arliquiera) e capaci di indebolire ulteriormente l’operazione firmata con il ministero dei beni culturali nel primo semestre del 2000.
Rivendicare la senesità senza fare i dovuti approfondimenti rischia di far diventare le giuste richieste identitarie farsa.