Caterina da Siena, Epistolario

Finalmente l’edizione critica dell’Epistolario di santa Caterina

Un’impresa storica per la conoscenza della mistica ribelle di Fontebranda

 

Ma sapeva scrive o no? Sapeva leggere davvero o i riferimenti alle sacre scritture disseminati nelle sue lettere li aveva carpiti dalle prediche ascoltate in San Domenico e ritenuti a memoria? Avrà ammesso consigli integrativi o imponeva una dettatura sillabata in estatico rapimento? Le domande  son destinate a non avere risposte definitive e unilaterali. Siamo noi a dover interrogare le 381 missive – o giù di lì – che la giovane ribelle di Fontebranda indirizzò a potenti e eremiti, a cardinali e prelati, a dame aristocratiche e artisti, a fedeli discepoli della sua numerosa “famiglia” o ai governanti della sua città, a papi, condottieri, re e regine. Se non che, fino ad oggi, un’edizione critica come si deve delle Lettere , pur citatissime per stralciarne detti e esortazioni, luminose metafore e affettuosi rimproveri, mancava. L’impresa avviata da Eugenio Dupré Theseider era rimasta ferma ad unico volume primo – edito su iniziativa dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo nel 1940, comprensivo di 88 lettere soltanto. Nell’accingersi a compilarla l’illustre storico non aveva esitato a confessare le difficoltà nell’impostare e eseguire l’improbo piano: i copisti «non fecero – avvisò – quasi mai un puro lavoro di trascrizione, ma cercarono di arricchire le loro raccolte copiando altre lettere da codici anche di altre famiglie: talché l’impresa di costruire le genealogia dei codici cateriniani è della più disperante complessità». Passi avanti sono stati fatti nel frattempo, ma, quanto all’epistolario nel suo insieme, l’ambizioso progetto avviato ottant’anni fa non era mai stato rilanciato e aggiornato in coerenza con le sue alte ambizioni. Il CD allestito a cura della Provincia Romana dell’ordine domenicano (2002) è un surrogato utile per la consultazione, deliberatamente al di sotto degli obiettivi da conquistare. Ecco perché il lavoro ripreso con sistematico vigore dall’Istituto presieduto da Massimo Miglio segna una data storica nella conoscenza filologicamente attendibile dell’opera cateriniana. A introduzione del progetto è apparso un volume (“Caterina da Siena, Epistolario. Catalogo dei manoscritti e delle stampe”, a cura di M. Cursi,  A. Dejure, G. Frosini, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2021) che sarà presentato all’ Accademia degli Intronati oggi 28 aprile, alle ore 17.00 nella sala di  Palazzo Patrizi (via di Città, 75). Ne parleranno Giada Mattarucco (Università per Stranieri di Siena) e Marco Palma (Università di Cassino). Interverranno lo stesso Miglio, Antonio Cocolicchio OP,Tomaso Montanari oltre ai curatori. Il volume mette in luce, fra l’altro, l’importanza del codice T. III . 3 della Biblioteca Comunale degli Intronati, che contiene cinque delle otto lettere “originali” di Caterina, stese da Barduccio Canigiani. Anche una sesta lettera si trova a Siena, nell’archivio della Compagnia dei Santi Niccolò e Lucia, mentre altre due sono a Catania e a Oxford. L’edizione in cantiere non risponderà, ovviamente, ai quesiti evocati in apertura. Il catalogo, che passa in rassegna i materiali sottoposti ad accuratissimo esame per costruire l’attesa edizione critica, è accompagnato da considerazioni su aspetti metodologici fondamentali. E il complementare Database on line “DEKaS” , con quel K che rinvia alla grafia tradizionale Katerina, esplicita «l’orientamento conservativo che la nuova edizione si propone di avere sul piano grafico». È opinione dei più che Caterina sapesse leggere e perfino si applicasse alla correzione dei testi che uscivano dalla sua affaccendata cancelleria. E scrivere? Si deve tener presente che “scrivere” era verbo che non indicava, come oggi, un’azione condotta in prima persona, ma l’intenzione di trasferire su carta definiti pensieri affidati a esperti scribi. Caterina era orgogliosa di quanto restava scritto, o di suo pugno o filtrati da fidi collaboratori maschili, e ci teneva che le sopravvivesse. Nell’ultima lettera (15 febbraio 1380)  rivolta all’occhiuto confessore/controllore  Raimondo da Capua che dopo il 1374 la seguì come un’ombra non ebbe esitazioni nel raccomandare di far tesoro «di ogni scrittura la quale trovaste di me». E fu esaudita. Le sillogi, in testa i due manoscritti di Cristoforo di Gano Guidini e i due organizzati dal domenicano Tommaso detto il Caffarini, spiccano tra i 58, tutti risalenti ai secoli XIV e XV attestando le finalità divulgative di parole che serbano passaggi di un’oralità dolce e impetuosa, viva e fragante come quando fu pronunciata.

 

 

Roberto Barzanti

 

“La Nazione”, 28 aprile 2022