Uno scrittore francese, conservatore, «polemista d’estrema destra pluricondannato», apertamente schierato contro l’immigrazione, il meticciato, il neopuritanesimo femminista, e più in generale l’ideologia progressista, rischia di diventare il prossimo inquilino dell’Eliseo.
Non si tratta della trama dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, ma dello scenario che si sta lentamente rivelando all’apertura del sipario sulle elezioni presidenziali francesi del 2022. La partita sembrava già scritta a tavolino, con uno schema a tre punte composto da Macron, Marine Le Pen e i gollisti, che cercavano di guadagnare il centrocampo, a cui oggi, inaspettatamente, si aggiunge una quarta punta. L’uomo in più si chiama Éric Zemmour.
Commentatore politico de Le Figaro, opinionista radio-televisivo e saggista, noto soprattutto per Le premier sexe, un saggio sulla devirilizzazione del maschio e la femminilizzazione della società uscito nel 2006 – tradotto in italiano come L’uomo maschio – e per il suo successo editoriale del 2014, Il suicidio francese, Zemmour non ha ancora ufficialmente sciolto la riserva in merito alla sua candidatura, eppure la sola possibilità che possa passare il Rubicone elettorale, ha già fatto impazzire i sondaggi, oltre che gli attuali rappresentanti della droite.
Di ispirazione gollista-bonapartista e nemico giurato del deconstruttivismo sessantottino – la sua parola d’ordine è «déconstruire les déconstructeurs» – nei giorni scorsi Zemmour ha raggiunto il 17-18% delle intenzioni di voto, triplicando i suoi stessi consensi in poco più di un mese, sorpassando Marine Le Pen e dando spazio, per la prima volta, alla possibilità di arrivare al secondo turno insieme al presidente uscente, dato al 24-27% dai sondaggi pubblicati dal settimanale Challenges.
Al momento Zemmour resta impegnato in una tournée dai toni prettamente intellettuali, come rivelano il recente dibattito con il filosofo Michel Onfray, nonché le presentazioni del suo nuovo libro, La France n’a pas dit son dernier mot, edito da Rubempré, in cui l’autore ripercorre le ultime tappe della sua vita da intellettuale pubblico, le linee di quella che potrebbe essere la sua proposta politica e gli eventi che hanno contribuito a far avanzare, serpeggiare, nella sua stessa mente, l’idea di una candidatura presidenziale. La quarta di copertina ci consegna, per così dire, l’estro e l’oratoria di un capo popolo:
“Non siamo mai stati così deboli, disuniti, sconvolti, invasi come oggi. Non c’è giorno senza provocazione, decostruzione, derisione, umiliazione. Continuo a narrare le cose messe sotto silenzio, taciute troppo a lungo. Perché la Francia non solo abbia futuro, ma traccia la strada di un avvenire. Per continuare la storia della Francia. La storia non è finita. La Francia non ha detto la sua ultima parola”.
Le persone vicine a Zemmour hanno provato a metterlo in guardia dagli aspetti più vili della politica – racconta – dall’invadenza nella sfera privata ai controlli fiscali, faranno di tutto per smontarti – gli dicono – troveranno una donna che ti accuserà di molestie, mentre Marine Le Pen, a seguito di un annuncio relativo alla sua potenziale candidatura su L’Express a fine febbraio 2021, proverà a disarcionarlo, prima ancora della corsa, com’egli narra nell’ultimo libro.
“Éric, prenderai il 3%, e non mi impedirai di arrivare al secondo turno, ma mi impedirai di arrivarci in testa”, una profezia, quella lepeniana, che, stando agli attuali sondaggi, riporta la memoria al nostrano oracolo Piero Fassino nei confronti dell’allora discesa in campo di Beppe Grillo.
Ed ancora, prosegue la Le Pen, durante l’incontro riferito nel libro: “Tu sei un ideologo. In politica bisogna amare la gente”. “Io amo le idee, e porto avanti quella battaglia delle idee che nessuno porta avanti nel nostro fronte; ma non sono un ideologo, al contrario, parto sempre dalla realtà. E poi, credi davvero che de Gaulle amasse la gente? Amava la Francia, certo, non i francesi. E tu, la ami davvero la gente? Francamente, non si direbbe” ribatte duramente Zemmour.
La corsa verso l’Eliseo da mero pensiero si è ormai trasformata in una ghiotta occasione ed Éric prosegue, come una mina vagante, pronto a sparigliare le carte, a far saltare gli equilibri, a depredare fette di elettorato ai colleghi della destra francese. Il suo elettorato di partenza è infatti costituito dall’alta borghesia delle grandi città, dagli arrondissements più agiati – a cui è già noto in qualità di pubblico intellettuale – e ai quali si stanno aggiungendo, gradualmente, le fasce socioeconomiche più basse della provincia, soprattutto del sud e dell’est della Francia, aree di lepenisti scontenti.
Ma, in definitiva, in cosa si sostanzia la potenziale proposta politica di Zemmour?
Immigrazione zero, aumento dei rimpatri, protezionismo economico a favore delle aziende francesi, l’idea di un’Unione Europea più vicina alla Russia – vecchio tema gollista – per controbilanciare il potere statunitense da un lato e quello cinese dall’altro, maggiori presidi militari e di polizia per la lotta al terrorismo e alla criminalità, contrasto alla recente deriva transumanistica. La sua campagna elettorale potrebbe vedere come protagonista una battaglia identitaria e di civilizzazione – lo stesso Zemmour è sostenitore della teoria del “Grand remplacement” introdotta nel dibattito pubblico da Renaud Camus – questione di cui il potenziale candidato dai tratti nazionalisti è certo che nessun concorrente, nemmeno la Le Pen, metterà al centro della propria.
“Marine Le Pen ormai parla come Emmanuel Macron, il quale parla a sua volta come Marine Le Pen. Luc Mélenchon evoca l’argomento, ma per glorificare il futuro di una Francia meticcia, «creolizzata», per dirla con il suo nuovo termine feticcio”, scrive Zemmour ne La France n’a pas dit son dernier mot. Ed ancora, fra gli altri temi, potrebbero comparire sicurezza, sovranità, indipendenza, ma senza cadere nella trappola della Frexit.
Sul piano del mondo delle idee, inoltre, Zemmour sostiene che i liberali e i progressisti del Ventunesimo secolo, attraverso le istituzioni burocratiche e giudiziarie nazionali e sovranazionali, abbiano indebolito la rappresentanza democratica e liquefatto la nazione. Ispirandosi alle analisi di Toqueville, che denunciavano il pericolo di dispotismo sempre presente nelle democrazie, causato tanto dagli istinti paternalistici delle élite quanto dalla mollezza e dall’indifferenza del popolo, ritiene che soltanto uno Stato-nazione indipendente e una vivace società civile possano evitare la deriva centralista e autoritaria nelle corde dell’attuale egemonia progressista.
Ne La France n’a pas dit son dernier mot, l’autore rievoca, oltre alle analisi toquevilliane, quelle di un altro celebre pensatore statunitense, ritenute dallo stesso di estrema attualità rispetto alle condizioni della sua République:
“Ho scoperto le brillanti opere dell’americano Samuel Huntington, il suo celebre Lo scontro delle civiltà, ed il meno celebre ma ancor più brillante L’incontro delle civiltà. Una lunga tirata relativa al nostro paese che mi ha colpito per i suoi toni disperati, che hanno preceduto i miei: la Francia, in particolare, ha avuto un repentino crollo di civilizzazione, di cui nemmeno Fernand Braudel, morto nel 1985, sembra aver compreso la drammatica portata. Alla nazione che per mille anni è stata la punta di diamante intellettuale della civilizzazione occidentale sfugge l’ordine prodotto negli anni 1979-1980. In meno di due generazioni abbiamo assistito a un’esplosione di analfabetismo, di criminalità, di corruzione politica, e ad una sostituzione su grande scala della popolazione, condizione che ne sotterra l’identità di storico paese dell’Europa occidentale. I francesi, paradossalmente, rifiutano di considerare in maniera oggettiva la loro stessa situazione e pare vogliano chiudersi in tale diniego fino alla morte. Il futuro farà evidentemente a meno di loro”.
E a chi gli chiede lumi sulla sua candidatura, Zemmour risponde che la sola ipotesi non è che uno dei sintomi della disgregazione del sistema politico francese e dell’avvizzimento delle istituzioni della Quinta Repubblica, oggi agonizzante a causa di quella “politicizzazione degli spiriti”, di cui parlava Thomas Mann ne Le considerazioni di un impolitico.
Ma la Francia non ha ancora detto la sua ultima parola. E se questa fosse davvero “Zemmour”?