di Stefano Bucci
Sembrano essere affinità elettive molto speciali quelle che hanno legato, e che ancora oggi continuano a legare, Georg Baselitz a Emilio Vedova: affinità elettive scaturite dalle diversità e dalle differenze tra i due grandi maestri del contemporanei. Lo confessa a «la Lettura» lo stesso Baselitz: «Ci incontravamo nelle occasioni più importanti, nelle mostre che contavano. Avevamo stabilito un rapporto molto stretto, ma alcune circostanze ci ostacolavano: la lingua, il Paese di provenienza, l’età. Emilio non era certo il tipo dalla conversazione facile e i suoi erano più che altro monologhi, era capace di tenere veri sermoni solenni mentre gesticolava con irruente partecipazione. È poi era comunista, pur essendo sua moglie una persona molto agiata, cosa di per sé sbalorditiva e assai contraddittoria. Mia moglie e io, invece, non avevamo grandi mezzi. Ma, soprattutto, Emilio era molto più alto di me».
V edova accendi la luce è il titolo della mostra organizzata a Venezia, nel Magazzino del Sale, dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, aperta dal 20 maggio al 31 ottobre, in concomitanza con la diciassettesima Biennale d’architettura. L’esposizione, realizzata su un progetto espositivo di Fabrizio Gazzarri e Detlev Gretenkort, presenta 17 nuove opere di Baselitz, tutte realizzate nel 2020, tutte di grandi dimensioni (300 per 212 centimetri) che andranno a occupare gli spazi riprogettati nel 2009 da Renzo Piano. Divise in due serie distinte: una (10 tele) dedicata alla moglie Elke, l’altra (7 tele) realizzata proprio «alla maniera di Vedova» in un concreto omaggio dell’artista tedesco al maestro veneziano scomparso nel 2006 a 87 anni. Una mostra suggestiva in cui, sottolinea Alfredo Bianchini, presidente della Fondazione, «Baselitz gioca, e soprattutto dialoga, con Emilio fingendo di imitarlo nei tratti informali e scherzando allusivamente con i titoli dei quadri»: Va dove e Dove va (due anagrammi di Vedova); Il motore si è fermato per un pelo di barba; Ditta vedovella apparecchiature elettriche; Vedova accendi la luce (da qui il titolo della mostra); Vedova spegni la luce.
Come ha fatto l’ottantatreenne Baselitz (nato come Hans-Georg Rem il 29 gennaio 1938 a Kamenz, Sassonia), nella sua casa-studio progettata da Herzog & de Meuron e affacciata sul lago di Ammersee, a dipingere alla maniera di Vedova? «Sono tornato bambino. Ho iniziato — spiega — dipingendo sulla tela in una maniera semplicissima, in un certo senso naïf, proprio come fanno i bambini. Poi, in un secondo momento, ho appoggiato una seconda tela sopra la prima e ho ottenuto una stampa. Può sembrare un procedimento piuttosto casuale, ma non è così, perché mentre si dipinge, ogni volta si deve riuscire a immaginare il risultato finale e non è sempre facile».
Quei sette grandi dipinti verticali raccontano la storia di una vicinanza artistica: «Nel passato ho reso omaggio ad artisti la cui opera, per diversi motivi, mi emozionava, mi colpiva. Vedova è stato uno di loro, il primo e il più importante. Lo testimonia il fatto che il primo quadro da me acquistato nel lontano 1968 fosse di Emilio». Ma anche la storia di un’amicizia profonda e duratura nata nei primi anni Sessanta, nella Berlino divisa dal muro, dove Vedova aveva vissuto per circa due anni e dove aveva realizzato il ciclo Absurdes Berliner Tagebuch ’64.
Così Baselitz ricorda il suo primo incontro con la pittura di Vedova: «Comperai un quadro di Emilio, il Manifesto universale del 1957, dal gallerista Rudolf Springer, lo comperai come documento, il mio primo sguardo verso ovest, un quadro astratto, con un suo fondamento, Piranesi, e una sua veemenza da innamorarsi». Un’amicizia continuamente affermata e onorata da Georg anche dopo la scomparsa di Emilio: le sei opere inedite che gli aveva dedicato alla Biennale di Venezia; la mostra abbinata Baselitz-Vedova a Salisburgo nel 2015; quella nel 2016 al Museo di Duisburg che, ancora una volta, metteva insieme opere di Vedova e Baselitz; la monografica nel 2019, sempre al Magazzino del Sale, curata dallo stesso Baselitz e incentrata sulle opere in «bianco-nero» degli anni Cinquanta e degli anni Ottanta (i famosi Teleri).
A proposito di questa amicizia Fabrizio Gazzarri, curatore della mostra e direttore dell’archivio e della collezione di Fondazione Vedova, ricorda con precisione come Vedova gli avesse introdotto Baselitz: «Era una mattina di grande fermento in casa Vedova per l’imminente visita di alcuni galleristi tedeschi e con Emilio eravamo in attesa davanti alle grandi finestre che danno sul bacino di San Marco. Era sorridente, intento a sfogliare il catalogo di una galleria tedesca con la quale lavorava, la stessa del suo caro amico Georg Baselitz, conosciuto negli anni del soggiorno berlinese. La sua attenzione si fermò sull’immagine di un’aquila rovesciata, dipinta con pennellate che volevano esprimere tutta la potenza e il fascino di questo mitico rapace dei cieli, lucido e attentissimo alle cose della terra. Emilio mi disse, compiaciuto, che l’autore di quel dipinto era un suo amico, un grande pittore. In quell’istante iniziò una straordinaria lezione di storia dell’arte, di quelle che Vedova sapeva donare con generosa e profonda competenza».
C’è un’opera di Vedova, l’artista astratto italiano della seconda metà del Novecento più caro sul mercato (Tensione del 1959 era stato battuto nel 2017 da Dorotheum per 792.500 euro) che l’ombroso e silenzioso Baselitz, il maestro dei ritratti a testa in giù (quasi sette milioni e mezzo di dollari pagati nel 2014 da Sotheby’s a New York per Der Brückechor) preferisce? «No, trovo fantastica tutta la sua opera». E dal punto di vista stilistico? «Quello che mi cattura maggiormente di lui è la sua affinità con l’Espressionismo tedesco».
Nella mostra di Venezia a fare da collante tra le due serie (i ritratti della moglie e i simil-Vedova) ci sono la coerenza di Baselitz e una sequenza di titoli volutamente giocati, come spesso accade con l’artista tedesco, su parole e «associazioni» imprevedibili (seguendo la lezione di André Breton che si dice non fosse in grado di guardare le opere d’arte se non erano corredate da un titolo).
I titoli per Baselitz sono spesso enigmi che citano Artaud, Ionesco, Beckett. Un altro modo per aggiungere nuovi significati e riferimenti più o meno evidenti, dall’Origine del mondo di Gustave Courbet a Da dove veniamo? chi siamo? dove andiamo di Paul Gauguin. Il titolo Il motore si è fermato per un pelo di barba sembra ad esempio legarsi al fatto che sia Baselitz che Vedova portavano la barba ma anche al Concetto spaziale. Attese 140 (1968 circa) di Lucio Fontana, oggi conservato ai Musées royaux des Beaux-Arts di Bruxelles. Fontana aveva l’abitudine di scrivere qualche frase o pensiero sul retro delle sue tele per scoraggiare i falsi: su Attese 140 aveva scritto «un pelo di barba, 2 peli di barba / 1000 peli di barba ma che barba / Vedova», con tutta probabilità riferendosi a un violento battibecco avuto con Vedova dopo l’Expo ’67 a Montreal.
Dietro i titoli della serie del cosiddetto Gelato (Speiseeis) si nascondono così i ritratti della moglie Elke: «Il bianco-ghiaccio dello sfondo risplende sulle figure come luce del sole e i gusti citati nei titoli, la fragola, il limone, la vaniglia, il mirtillo — spiega Philip Rylands, neoconsigliere della Fondazione Vedova — trovano un contrappunto nei colori, ma quello stesso bianco-ghiaccio e quelle stesse tracce colorate evocano i segni lasciati dalle lame di un pattinatore che Baselitz associa agli ultimi dipinti di de Kooning». A proposito di quei ritratti Baselitz spiega ancora: «Non illustro Elke. Semmai cerco di rimuoverla, di solito non ci riesco. Lei rientra nel processo, che io lo voglia o no, rispunta sempre da una parte nascosta della mia mente».
Prossimi progetti? «Oltre alle mostre di Venezia, alla Fondazione Vedova e a Palazzo Grimani, ce ne sono altre in programma alla Galleria Ropac di Salisburgo e alla Gagosian di New York. E poi spero davvero che possa presto essere realizzata anche la mia retrospettiva al Centre Pompidou a Parigi mentre sempre quest’anno è in programma l’inaugurazione all’Académie des Beaux-Arts. Insomma, sono molto impegnato almeno per tutto il 2023»
Alla fine c’è qualcosa che Georg Baselitz invidia davvero a Emilio Vedova?
«Certo! Mi sarebbe piaciuto nascere italiano».
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