L’idea del laboratorio anti Pd lanciata dai tre sindaci e le liti tra le loro giunte su sanità e ripresa post virus
Daniele Magrini
«Le cose che abbiamo in comune sono 4.850», cantava Daniele Silvestri. Non arriveranno a tanto le assonanze politiche tra Siena, Arezzo e Grosseto. Però l’affinità elettiva, la «chimica» del legarsi insieme perché città tutte governate dal centrodestra in salsa civica, parrebbe un dato acquisito, d’altronde esaltato negli anni dagli stessi sindaci Luigi De Mossi, Antonfrancesco Vivarelli Colonna e Alessandro Ghinelli attraverso il messaggio reiterato del «Patto del sud».
E invece, all’improvviso, sul limitare della crisi pandemica, ecco rispuntare una narrazione da «parenti serpenti», visti gli strali lanciati — e poi riaggiustati — indirizzati a Siena sia dalla sponda aretina che da quella grossetana. In un rimbalzo di puntualizzazioni, repliche e controrepliche, resta il fatto che nel giro di pochi giorni, prima l’assessora di Arezzo Lucia Tanti ha messo sotto accusa addirittura la gestione sanitaria dell’emergenza Covid19 dell’ospedale senese delle Scotte, poi lo stesso sindaco di Grosseto aveva dato ad intendere di non ritenere sussistenti i milioni di euro dichiarati dall’amministrazione comunale senese per supportare l’economia cittadina sconvolta dagli effetti della pandemia. Scegliere proprio dinamiche attinenti al coronavirus per punzecchiare l’ «alleato» senese fa riaffiorare rivalità consolidate per questioni di campanile e non solo.
Senza andare troppo indietro nella storia, qualche decennio fa, è indubbio che Siena e i senesi fossero poco «simpatici» ad Arezzo e Grosseto, per via soprattutto di avere le tasche piene grazie al Monte dei Paschi. E c’erano poi le questioni degli equilibri politici, tra rappresentanze parlamentari e assessori regionali: al tempo del Pd e prima ancora, non erano affatto rose e fiori quando si dovevano fare le liste elettorali e le giunte con il misurino.
Invece, quando matura il ribaltone totale e il centrodestra oltre a Grosseto e Arezzo conquista anche Siena, la comunicazione politica immediata che ne deriva è: eccoci qui, tutti insieme appassionatamente per ribaltare gli antichi equilibri territoriali «nordisti» della rossa Toscana.
In occasione del primo Palio da sindaco dell’appena eletto Luigi De Mossi, il 2 luglio 2018, i sindaci di Arezzo e Grosseto sono accanto a lui per festeggiare, immortalati in una foto dai grandi sorrisi. Arriva l’autunno e i tre sindaci della Toscana del sud sono ancora insieme, sempre sorridenti, alla cena convocata da Susanna Ceccardi in un ristorante fiorentino. Scrive su Facebook l’allora commissaria toscana della Lega: «La cena l’abbiamo fatta a Firenze e sono sicura che qualcuno si preoccuperà».
Luigi De Mossi e Antonfrancesco Vivarelli Colonna assumono più volte posizioni comuni in merito alla gestione regionale dei servizi: nel luglio 2019 contro Sei Toscana. A gennaio del 2020 sollecitano in tandem la Regione Toscana a chiarire cosa stia accadendo in merito alla gara del trasporto pubblico locale vinta da Autolinee Toscane, cioè dai francesi di Ratp. Ma c’è di più. Quando a novembre Salvini mette in dubbio in modo esplicito la candidatura della Ceccardi a governatore della Toscana per il centrodestra, proprio il sindaco di Siena Luigi De Mossi apre la strada alla candidatura civica di Vivarelli Colonna, quasi come un playmaker che lancia a canestro un compagno di squadra.
Poi, le questioni della candidatura si sono rimescolate a prescindere dalle volontà dei sindaci e ancora non si intravede l’approdo finale. E in più, per il centrodestra, si aggiunge ora anche questa ruggine improvvisa che offusca il Patto del sud. Perché anche se i sindaci si rinnovano promesse di amicizia dopo gli sgarbi, le tre città rimangono guardinghe. Oltre i sorrisi della politica.