Tornando a Ferri, l’Anm romana giovedì sera “preso atto della richiesta, all’unanimità” ha deliberato le dimissioni e ieri sera, il Cdc ha dichiarato “il non luogo a procedere” con soli 4 no dei rappresentanti di Autonomia e Indipendenza, i quali volevano, invece, la sospensione delle dimissioni.
Una mossa, quella di Ferri, leader di Magistratura Indipendente, la corrente conservatrice, decisa prima che i probiviri si riunissero per proporre la sanzione al Cdc dell’Anm. Se non fossero arrivate le dimissioni, i probiviri questa volta non avrebbero potuto graziarlo, come in precedenza. Il 20 giugno scorso, sul tavolo del Cdc era arrivata una proposta dei probiviri che accoglieva la linea prospettata da Ferri: non giudicabile perché di fatto fuori dall’Anm, non avendo pagato le quote. Quel giorno, però, il parlamentino dell’Anm smontò in pochi istanti la linea dell’attuale deputato, che si erano bevuti i probiviri: le quote erano state pagate, come dimostrano, fu detto, i prelievi dallo stipendio di Ferri. In più nel 2016 Ferri chiese di votare per l’Anm ligure, nonostante fosse all’epoca sottosegretario alla Giustizia. Quindi, il 20 giugno scorso il Cdc rimandò gli atti su Ferri ai probiviri per proporre una sanzione, dato che faceva parte a tutti gli effetti dell’Anm. Fino ad ora a “Cosimino”, come lo chiamano tutti, gli era andata bene non solo con il Csm ma pure con l’Anm. Il sindacato delle toghe, per esempio, nel 2014 si limitò a emettere un comunicato di critica ma non decise alcun deferimento ai probiviri, nonostante Ferri-politico, sottosegretario alla Giustizia, fosse entrato a gamba tesa nella campagna per l’elezione dei togati del Csm: inviò sms ai magistrati per chiedere di votare Luca Forteleoni e Lorenzo Pontecorvo, poi eletti.
Ferri è l’ultimo dei magistrati, in ordine di tempo, che per evitare sanzioni dell’Anm si è dimesso. Nelle settimane scorse, uno dopo l’altro, si erano dimessi Luigi Spina, Antonio Lepre e Corrado Cartoni, già costretti l’anno scorso alle dimissioni da consiglieri Csm, dopo che sono venute fuori le registrazioni all’hotel Champagne di Roma, il 9 maggio 2019, con Palamara, Ferri e un altro deputato renziano del Pd, Luca Lotti, pure imputato a Roma per Consip. È la famosa sera in cui provano a decidere la nomina del procuratore di Roma.
Presente pure un quinto togato di Palazzo dei Marescialli, Paolo Criscuoli, l’ultimo a dimettersi da consigliere ma che non si è dimesso, come Palamara, dall’Anm e che il 20 giugno scorso è stato condannato a 5 anni di sospensione. Tutti i magistrati che si trovavano all’hotel Champagne sono sotto processo disciplinare dal 21 luglio. Per Ferri, però, i giudici del Csm dovranno chiedere alla Camera, su richiesta della procura generale della Cassazione, l’autorizzazione all’utilizzabilità delle intercettazioni. E Ferri lo scudo di deputato lo usa, eccome. Dopo aver ricevuto un picche dalla Corte Costituzionale perché aveva chiesto da singolo deputato di sollevare un conflitto tra poteri (non si può fare), Ferri ci riprova con la strada canonica: ha chiesto al presidente della Camera Roberto Fico di sollevare davanti alla Consulta quel conflitto che avrebbe voluto fare da solo contro la procura di Perugia e la procura generale della Cassazione. È convinto di essere stato intercettato illecitamente dal Gico della Gdf di Roma (che aveva la delega dei pm perugini) proprio in quanto parlamentare. Ora la palla passa a Montecitorio.