La sensazione è che al cinema vadano in pochi. E i pochi temerari devono sottostare a punizioni aggiuntive, quali l’intervallo tra primo e secondo tempo, e le sale poco o per nulla riscaldate. A Milano, capita nelle multisale del centro come nel prestigioso e cinefilo Anteo (il Covid non è un problema perché perlopiù sono vuote, a moltiplicare l’effetto gelo). Gli incassi italiani di novembre 2021 non arrivano alla metà degli incassi di novembre 2019, prima dell’emergenza sanitaria. Siamo al 45 per cento. Anche tenendo conto del “fattore Sorrentino” – solo stimato: “E’ stata la mano di Dio”, prodotto da Netflix, sta in 250 sale e non rende noti i soldini portati a casa – non c’è da stare allegri.
“Il 49 per cento degli spettatori pre pandemia non compra più biglietti”, certifica uno studio americano promosso e condotto da Quorum. Un po’ di questi spettatori, intorno all’8 per cento, sono perduti per sempre. Gli altri potrebbero essere riconquistati ripensando le attrattive della sala. Per esempio gli sconti: un mese di streaming negli Usa costa meno di un biglietto. Qualche ritocco lo dovrebbero avere anche la produzione e la programmazione: purtroppo al momento sono i supereroi e i seguiti a richiamare le folle di adolescenti, incassando cifre notevoli (in Italia il migliore incasso della stagione è “Eternals” di Chloe Zhao, con 8 milioni circa, seguito da James Bond). Per l’audacia produttiva – quella che davvero potrebbe richiamare le folle con un film imperdibile – ripassare più tardi.
“La tempesta perfetta”, spiega sul New York Times l’analista Linda Ong. La pandemia ha accelerato tendenze già in atto, ma finora sottotraccia, amplificandone gli effetti. In ordine sparso: l’aumento del prezzo dei biglietti e pure dei popcorn (o altri generi di conforto). La sensazione è che andare al cinema sia una scocciatura. Lo stato disastroso dei grandi centri commerciali Usa che ospitano le multisale. La nuova generazione cresciuta con lo streaming, i videogiochi, i divertimenti da smartphone. Aggiungete le preoccupazioni sanitarie, e gli spettatori saltuari diventano subito ex spettatori. La ricerca ha intervistato 2.528 persone che nel 2019 erano andate al cinema più di una volta all’anno (i bassi requisiti d’entrata sono un segnale, rispetto a quando il cinema non era un avvenimento da programmare con anticipo, e magari prenotare: bastava mettersi d’accordo sul titolo, se si era in più di uno).
L’identikit di chi ancora compra i biglietti indica spettatori maschi dai 25 ai 45 anni. Fuori dalla fascia demografica, il deserto. Il 49 per cento che il cinema in sala non lo vede più è composto da donne soprattutto, le più infastidite dagli smartphone mai davvero silenziati, né riposti nelle borse. Aggravante: film adatti a loro – vuol dire, senza offendere nessuno: per chi non è maschio nella sua prolungata adolescenza – non se ne girano più. Lo aveva già segnalato il Wall Street Journal un paio di settimane fa: manca all’appello la fascia sopra i 35 anni, scesa di oltre il 20 per cento rispetto al 2019 (qui il campione era di circa 4 mila persone). Negli Usa e anche in Italia si spera nei film natalizi. Stavamo per dire “tradizionali film natalizi”, magari con un risvolto romantico. I nuovi titoli che arrivano da Hollywood, in ottemperanza all’inclusione obbligatoria, hanno al centro coppie gay. Restano il polpettone sommo (riscattato da Lady Gaga) “House of Gucci” e il “West Side Story” di Steven Spielberg. Musiche di Leonard Bernstein e portoricani veri nel cast.