L’albero e Sallustio, simboli solitari di Siena sempre più lontana dal Monte
A Rocca Salimbeni il piazzale deserto. Il sindaco De Mossi: resti il legame
Giulia Maestrini
SIENA Davanti a Rocca Salimbeni, il grande abete allestito come ogni anno dalla banca e la statua di Sallustio Bandini sembrano osservare, imperterriti, lo shopping natalizio che scorre. Sono loro i testimoni immutabili di questa nuova fase del Monte dei Paschi che pare distante dalla vita della città come forse non era mai stata. Sarà anche per colpa della pandemia: il Cda si fa da remoto, niente auto blu parcheggiate sotto la Rocca con gli autisti in attesa, le filiali coi battenti chiusi in cui si entra solo su appuntamento, nessun capannello dei pensionati agli angoli della piazza a interrogarsi su cosa accadrà a Babbo Monte. Sarà, forse, anche per la desenizzazione che da tempo è sancita e irreversibile: nel nuovo management non c’è un volto senese, i vertici non hanno più casa in centro, non incontrano la gente a passeggio. Sarà, infine, per la stanchezza o — come dice qualcuno — «per la voglia di dimenticare ciò che è crollato, come se smettendo di parlarne non fosse mai successo».
Di certo sembrano lontane anni luce le ore febbrili del dicembre 2016, quando il Monte correva contro il tempo per rastrellare un aumento di capitale da 5 miliardi: le filiali erano aperte fino a sera per gli obbligazionisti chiamati a convertire i loro bond in azioni, i senesi rispondevano (anche se non bastò) e in città non si parlava d’altro. Oggi, che pure il futuro è altrettanto incerto e la scure degli esuberi spaventa ancora, Siena appare come distratta. Disincantata. Forse rassegnata al fatto che le decisioni non vengano più prese qui, nemmeno fisicamente; che tutto accada altrove, che nessuna delle forze locali abbia voce in capitolo.
Eppure, ci provano. Da ogni lato della politica territoriale arrivano dichiarazioni sul Monte e, per una volta, sono tutte concordi, anche con i sindacati: lo Stato non abbandoni la nave e, soprattutto, si salvaguardino la direzione generale a Siena e l’occupazione. È un mantra che si ripete, rilanciato dal sindaco Luigi De Mossi («Resti il legame storico con la città, i senesi non possono pagare per gli errori del passato», dice) e dalle liste civiche, da FdI e Forza Italia (che ha schierato anche il senatore Mallegni) e insieme dal presidente della Regione, Eugenio Giani, che poche settimane fa ha inviato una lettera aperta al ministro dell’Economia. L’Associazione Buongoverno che raccoglie i piccoli azionisti fa un passo avanti e torna a chiedere, in alternativa, il «commissariamento» della banca. Perfino Davide Ricci (Italia Viva) che è sindaco di Murlo, tremila anime in Val di Merse, si è sentito di intervenire chiamando in causa la Fondazione Mps affinché «converta la richiesta danni da 3,8 miliardi in azioni e torni azionista di riferimento». Ma la Fondazione Mps, invece, attende di vedere il piano nei dettagli e resta in silenzio. «Al di là dei solitari proclami — chiosa Pierluigi Piccini — sarebbe necessario parlare della dimensione industriale della vicenda Monte dei Paschi, della ricaduta occupazionale sul territorio di fronte ai numeri sugli esuberi che sono da capogiro. Abbiamo chiesto di portare il dibattito in Consiglio comunale ma, a detta del sindaco, non si può perché il Comune non è competente».
In tutte queste voci che si sovrappongono, però, il direttore d’orchestra è sempre più lontano.
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