Il provvedimento sul suicidio assistito passa alla Camera con una larga maggioranza. Resta l’incognita del Senato
Era iniziato il 13 dicembre scorso, per arenarsi il giorno stesso, il primo esame nell’aula della Camera del provvedimento sulla morte volontaria medicalmente assistita, o suicidio assistito. Si era risolta con un rinvio a febbraio, una volta conclusa l’elezione del presidente della Repubblica. Il 9 febbraio è ritornata in aula e, dopo una serie di altri rinvii, finalmente, il 10 marzo scorso, è stata approvata in prima lettura con 253 “sì”, 117 “no” e un astenuto.
La data sarebbe memorabile, dal momento che registra il primo pronunciamento della Camera su un provvedimento che, da molti anni, interroga tutto il Paese, per il quale si sono succeduti appelli della società civile e su cui la Consulta aveva già sollecitato il parlamento, con la questione di costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale, nel 2018. Di mezzo, c’è stato lo sfortunato percorso del referendum sull’eutanasia, dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale, che non ha lasciato al Paese la possibilità di pronunciarsi sul tema, molto sentito, che riguarda la scelta sulla propria vita, in presenza di sofferenze fisiche e psichiche insostenibili e irreversibili.
Ora sarà il parlamento, com’è naturale che sia, a farsi portatore delle istanze dei cittadini in materia. Il dato politico, all’indomani della votazione è la compattezza del centrosinistra che – con Pd, 5 Stelle, Leu, +Europa e Italia viva (quest’ultima aveva dato libertà di coscienza) – si è dimostrato coeso e determinato nell’affrontare i numerosi blitz del centrodestra contro il provvedimento. Anche i fuoriusciti dai 5 Stelle, quelli di “Alternativa c’è”, hanno votato a favore. Il centrodestra, invece, ha sperato in un affossamento della legge (come accadde per il disegno di legge Zan), presentando molti emendamenti che non sono però riusciti a bucare il blocco opposto. Qualche defezione si è registrata tra le file di Forza Italia, che aveva anch’essa lasciato liberi i deputati di scegliere secondo coscienza.
Insomma, una volta tanto in circostanze così delicate, i numeri hanno tenuto e i franchi tiratori non ci sono stati. Certo, il passaggio al Senato non sarà altrettanto semplice, considerando la maggioranza risicata di cui gode il centrosinistra.
Il nuovo testo uscito dall’aula è frutto dell’accoglimento di alcuni emendamenti migliorativi, come quello all’art. 4 recante “requisiti e forma della richiesta” che prevede ora l’obbligo di una sola attestazione medica per l’inoltro della richiesta, e quello all’art. 5 sulle “modalità” di accesso alla morte volontaria medicalmente assistita, per cui il medico incaricato di stilare un rapporto delle condizioni del paziente non dovrà dettagliare le condizioni “sociali e familiari” del richiedente.
Restano comunque delle forti insoddisfazioni per un testo che aveva già subito la ghigliottina del passaggio nelle Commissioni, e che continua ad avere degli ampli margini di miglioramento. Tra gli aspetti più importanti, che avrebbero dovuto essere rivisti, c’è l’accesso alla procedura, che non accetta chi non abbia trattamenti di sostegno vitale, discriminando così molti malati oncologici terminali e altre patologie, e il percorso obbligato attraverso le cure palliative come conditio sine qua non per l’avvio dell’iter.
Altro punto dolente l’obiezione di coscienza prevista nell’art. 6, che recita alla fine “(…) Gli enti ospedalieri pubblici autorizzati sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dalla presente legge adottando tutte le misure, anche di natura organizzativa, che si rendano necessarie. La Regione ne controlla e garantisce l’attuazione”. Qui purtroppo abbiamo l’esempio della legge sull’aborto, che contempla l’obiezione e garantisce il servizio – spesso solo sulla carta. Niente garantisce che la stessa cosa non avvenga anche per la legge sul suicidio assistito, per la quale erano state avanzate, in aula, anche proposte di mobilità interregionale di pazienti e medici, a cui non è stato dato seguito. Infine, non c’è un termine perentorio per la chiusura del percorso, pur in presenza di una condizione clinica per la quale il tempo è una variabile fondamentale.
In conclusione, la legge non è esattamente quella che in tanti si aspettavano, dall’Associazione Coscioni a tutti i firmatari del referendum sull’eutanasia; ma è pur sempre una prima legge su un tema scottante che in altri Paesi europei (e non solo) ha già trovato piena attuazione. Sarebbe il momento che anche l’Italia fosse partecipe di quello che è un più ampio respiro europeo. Per ora, possiamo solo sperare nelle forze progressiste al Senato.