La situazione in Ucraina è drammatica. L’invasione russa ha trovato l’opposizione fiera dei cittadini ucraini, un’opposizione in grado di rallentare i russi. L’Europa ha reagito con dure sanzioni e con l’invio di armi in Ucraina, una decisione che renderà più duro il conflitto ma resa necessaria per impedire la capitolazione ucraina e aumentare la pressione su Mosca. Inoltre, l’avvio dei negoziati tra le parti apre un primo spiraglio di pace. Preso atto della doverosa durezza iniziale che bisognava mostrare al Cremlino, per l’Europa ora la parola d’ordine da rivolgere alla Russia deve essere: cessate il fuoco. È questa una precondizione imprescindibile per evitare una lunga guerra dai costi umanitari enormi e una escalation disastrosa che potrebbe portarci fino ad un conflitto aperto Nato-Russia.
C’è qualcosa su cui varrebbe la pena porre attenzione in Europa per definire una strategia di pace: le proteste nelle piazze russe. Al grido di «No alla guerra!» e «Sono i nostri fratelli» in migliaia sono scesi per le strade di numerose città. Centinaia sono invece gli studiosi appartenenti a diverse istituzioni accademiche russe che hanno sottoscritto un durissimo documento di condanna verso la guerra del Cremlino. Memorial, Novaja Gazeta e altri hanno assunta la stessa posizione contro il conflitto. Sono eventi non scontati. Parliamo di un paese retto da un regime autoritario, dove non è possibile mostrare apertamente dissenso sulla linea del Cremlino pena il rischio per la propria stessa incolumità.
La guerra peggiora questo quadro, perché come capita sotto tutti i regimi (tanto più quelli autoritari), quanti si oppongono allo sforzo bellico del proprio paese vengono visti dal potere come disfattisti, traditori o peggio ancora agenti stranieri. Allora le manifestazioni russe assumono un significato ancora più importante. Sono ragazzi e ragazze, giovani e meno giovani che scendono in piazza sapendo che saranno probabilmente arrestati. Persone che firmano appelli o prendono posizioni pubbliche consapevoli che potrebbero perdere il loro posto di lavoro o peggio.
Questi eventi ci ricordano una cosa, la Russia non è semplicemente Putin e il suo regime. Forse il presidente russo pensa il contrario, forse come tutti gli uomini di potere, crede di essere lui il paese e di incarnarne la Volontà. Non è così. Non ci sono state manifestazioni di giubilo per l’invasione dell’Ucraina o un pubblico e generalizzato moto di orgoglio Grande-russo, come invece era successo per l’annessione della Crimea.
C’è una Russia in quelle piazze che capovolge la lettura storica di Putin: è vero, i russi e gli ucraini hanno legami secolari, per questo però una guerra tra i due popoli è moralmente inaccettabile. Quelle piazze ci ricordano che Putin non è eterno, che una Russia diversa c’è già, nonostante tutto, che una Russia senza Putin è possibile.
Non bisogna illudersi, il regime di Putin non scomparirà da un giorno all’altro. Eppure è meno solido di quanto alcune semplicistiche comparazioni storiche non lascino intendere. È più fragile, ad esempio, di quanto non fosse il potere sovietico, che pure è poi crollato. Quella Russia, dunque, che non vuole la guerra va sostenuta, aiutata e supportata con tutti i mezzi. A quella Russia non bisogna creare terra bruciata attorno, evitando che il conflitto diventi cruento tanto da rendere sempre più difficile per i russi riconoscere negli ucraini i propri fratelli e viceversa.
In tutto questo la risposta dell’Europa non può essere semplicemente «più Nato, più armi, più sanzioni». È necessario costruire e proporre da subito un’alternativa di pace per il continente europeo. Dobbiamo metterci del nostro, ragionando sui limiti dell’Unione Europea odierna nonché sul rapporto presente e futuro tra Nato e sicurezza europea: l’Ue come l’abbiamo costruita non ha una sua politica estera e di sicurezza, si è deresponsabilizzata affidando esclusivamente all’Alleanza atlantica questa funzione. Ci ha fatto notare con arguzia Michael Moore che gli statunitensi sono stanchi delle guerre e non vogliono uno scontro aperto con Mosca. Le tante manifestazioni pacifiste hanno testimoniato la diffusione globale di questi sentimenti.
Ecco, perciò, l’importanza di una Russia diversa capace di intraprendere un percorso di disarmo dell’Europa, una Russia che noi dobbiamo contribuire a costruire e sostenere già ora. Sarebbe fatale pensare alla Russia come un paese solo da punire, senza distinguere tra il popolo russo e il suo regime politico. Sarebbe drammatico isolare i tanti russi che lottano con coraggio contro il regime e la guerra, lasciandoli soli o favorendo implicitamente la loro repressione in nome di logiche di guerra. L’Unione Europea può configurarsi come potenza democratica in grado di rispondere con durezza alla violazione del diritto internazionale e alla sovranità dei paesi europei. Deve anche, e le piazze russe le danno una sponda, costruire una Europa di pace in cui tutti i paesi liberi e democratici possano lavorare per la sicurezza comune.
* Storico, autore del libro Gorbačëv e la riunificazione della Germania, Viella, 2021