di Massimo Franco
Il voto del Senato che ieri ha sollevato un conflitto di attribuzione su alcuni passaggi dell’inchiesta sulla Fondazione Open, inserisce un cuneo nell’asse tra Movimento 5 Stelle e Pd. La decisione del partito di Enrico Letta di votare insieme con l’intero centrodestra a favore del leader di Italia viva, Matteo Renzi era probabilmente inevitabile: sia per le perplessità sul modo di agire della Procura di Firenze, accusata di non avere chiesto l’autorizzazione al Parlamento nella raccolta delle prove; sia per l’atteggiamento di buona parte dei senatori dem. Per un Movimento che fa del giustizialismo uno dei suoi capisaldi residui, la decisione è stata vissuta come uno schiaffo; e come la conferma di un’intesa trasversale del sistema politico a difesa di un Renzi che è una delle bestie nere dei grillini. Promette di influire sulle prospettive dell’«alleanza durevole» con i 5 Stelle guidati dall’ex premier Giuseppe Conte. E lascia emergere i veri umori del grosso del Pd sia nei confronti del grillismo, sia verso una strategia che li veda come interlocutori obbligati. Ma si coglie qualcosa di più, in quanto è accaduto ieri. Il caso è diventato un’occasione, o un pretesto, per difendere le prerogative del Parlamento e per attaccare una parte della magistratura e della stampa. Lo dice la compattezza con la quale il centrodestra, dall’opposizione di FdI alla Lega a FI, si è scagliato contro i giudici. Il rischio che fa capolino è di passare dalla rivendicazione sacrosanta dell’autonomia della politica rispetto a forzature giudiziarie, alla voglia di un regolamento di conti: un’eventualità che i referendum sulla giustizia appena approvati aumentano vistosamente. L’appoggio trasversale ottenuto da Renzi rappresenta, per lui, un successo. È riuscito a toccare il nervo scoperto di una politica che si sente aggredita, e un malumore diffuso nei confronti dei giudici e della stampa; orientamenti che ha sfruttato al punto da farli diventare una questione generale. Il «no» al conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, arrivato dai 5 Stelle e dalla sinistra di Leu, non ha influito sul voto finale. Ma si tratta di un precedente destinato a pesare sul futuro. Il tentativo del Pd di spiegare il proprio «sì» definendolo «doveroso» e insieme esorcizzando una rissa tra partiti e magistratura, sottolinea la delicatezza di quanto è accaduto. Anche perché il contraccolpo immediato sarà quello di rafforzare quanti, tra i 5 Stelle, premono per il ritorno alla presunta purezza delle origini. Si tratta di settori che rifiutano patti elettorali con la sinistra. E sfruttano qualunque occasione, si tratti di giustizia o di tensioni internazionali, per mettere in discussione l’appoggio al governo di Mario Draghi. Ora la parola passa alla Consulta.