Il Museo Diocesano raccoglie 130 opere in 12 sale È un percorso nell’arte religiosa scandito da maestri come Antelami, Campi o Battistello Caracciolo
di Cristiana Campanini
“Spazio, luce, ordine”, sono i canoni dell’architettura per un maestro di rigore come Le Corbusier. «È tutto ciò di cui gli uomini hanno bisogno, come il pane per sfamarsi oppure come un riparo per riposare » . Risuonano le stesse note di sintesi nel nuovo Museo Diocesano di Cremona, inaugurato nell’autunno scorso nel Palazzo Vescovile, grazie alla collaborazione tra la Diocesi di Cremona e la Fondazione Arvedi Buschini, già a sostegno di altre iniziative cittadine, come il museo e l’auditorium dedicati al violino. Luce e misura sono le cifre di un intervento di oltre 1.400 metri quadri ricavato a pochi passi dalla Cattedrale e dal Torrazzo. L’autore è lo studio Arkpabi di Giorgio Palù, già vincitore del Compasso d’Oro nel 2015 per l’Auditorium del Museo del Violino di Cremona. L’intonazione di queste regole ha eco compositiva e simbolica, a partire dall’ingresso.
Da una grande porta in bronzo si accede a una corte vetrata. Una scala in metallo e vetro è protagonista. Appesa alla copertura, scandisce lo spazio in un ritmo aperto e libero, una danza ellittica, che è complice nel condurre la luce zenitale dai finestroni. Una parete ci appare come un foglio ondulato, una pergamena che si dischiude con un movimento sinuoso a svelarci i segreti di un territorio. Ed è proprio questa l’occasione di esporre opere-simbolo come le riproduzioni a grandezza naturale dei bassorilievi dedicati ai Mesi dell’anno attribuiti ad Antelami o alla sua bottega. L’esperienza di contemplazione è frontale, al contrario di quello che accade in facciata, dove gli originali sono posti all’altezza di 15-20 metri. Quiete e spiritualità ci avvolgono, accompagnati dai toni morbidi del marmo di Botticino, a cui attingevano le chiese locali per impreziosire le facciate, a partire dal Duomo di Cremona con intarsi policromi. Fin dall’ingresso, le radici storico- artistiche e spirituali di un territorio sono al centro del racconto. Protagonista è la vasta Diocesi di Cremona, che abbraccia dalla provincia di Mantova, con Sabbioneta e Viadana; fino a Milano e Bergamo, con il Santuario di Caravaggio. Ne sintetizza i confini una mappa, documento inusuale d’autore, a incipit del racconto. È il ritratto della diocesi, ad opera di uno dei maestri lombardi del Cinquecento, Antonio Campi. Il museo ospita oltre 130 opere in 12 sale, scandite in sette aree tematiche dalle origini al tema mariano al mistero della croce fino alle storie dei santi. Si parte dagli insediamenti più antichi, con un mosaico pavimentale dell’antica cattedrale ( IV secolo d. C.) e si continua con l’epoca romanica, il periodo più luminoso per la città di Cremona. Il Duomo, la cui pietra di fondazione è nel 1107, tra le grandi cattedrali romaniche padane, ha una raccolta lapidea che testimonia il passaggio di Wiligelmo e Antelami, come autori o come bottega, ma anche di Marco Romano, drammatico interprete della pacatezza classica del suo maestro, Giovanni Pisano.
Portare luce dall’alto ha qui un significato evocativo, trascendente. È una scelta architettonica e simbolica, perché da questa cascata di luce, il percorso museale continua al piano seminterrato, nel ventre del palazzo, in luoghi finora abbandonati, depositi e cantine, perfino un’antica cucina di cui resta un grande camino. Colpisce un bronzo del XII Secolo, l’Arcangelo Gabriele che era posto sulla sommità del battistero. La sua posa è ieratica, ma il ginocchio sporge donando il dinamismo di un passo di danza alla figura, più vicina al gotico- francese che alla tradizione veneta- bizantina. Nella terza sala si apre il tema mariano, con le statue di Marco Romano conservate nel protiro della cattedrale. Quelle sculture sprigionano un realismo e una malinconia nei volti, una modernità che potrebbe evocare i ritratti scolpiti dalla luce nei dipinti di Felice Casorati. Nella medesima sala, spicca un cielo turchese a frammenti, ad avvolgere una preziosa pala dei primi del Cinquecento di Boccaccio Boccaccino, autore ferrarese a Cremona per gli affreschi della navata centrale in Duomo. Altro capolavoro in collezione è la trecentesca tavola processionale dedicata a Sant’Agata. Roberto Longhi ne elesse l’anonimo autore a Maestro della Tavola di Sant’Agata, per l’inaspettato realismo, il pathos delle figure e i dettagli prospettici. Altra atmosfera, lontanissima, ma raggiunta dal percorso con fluidità e armonia, è quella sprigionata da un dipinto di Battistello Caracciolo, pittore napoletano, la cui presenza è inusuale in zona. Raffigura Gesù con toni cupi d’influenza caravaggesca. La sua agonia notturna nell’orto dei Getsemani è enfatizzata dal gesto di protezione di un angelo possente. Ricurvo su di lui, invade la scena ad ali spiegate.