Tommaso Biancuzzi, coordinatore della Rete studenti medi
di Ilaria Venturi
«Non abbiamo bisogno di atteggiamenti paternalistici dei signori del ministero: la paura che abbiamo per il nostro futuro passa risolvendo i problemi». Tommaso Biancuzzi è il coordinatore della Rete studenti medi, il sindacato dei ragazzi delle superiori che raccoglie 10mila iscritti e che continuerà a scendere nelle piazze. Anche l’Unione degli studenti e i collettivi lo faranno. Per contestare la Maturità e Scuola-lavoro, ciò che surriscalda la generazione Dad: «Il ministro non ha fatto nessun passo indietro».
Bianchi incontrerà gli studenti domani, non è quello che chiedete?
«È tardi e comunque vede i rappresentanti delle consulte studentesche, non le associazioni il cui Forum non viene convocato da ottobre scorso. Perché non ascolta anche noi?».
Nella lettera scritta a Repubblica il ministro affronta i punti da voi più contestati. Partiamo dalla Maturità: perché non vi va bene il ritorno, anche se non del tutto, alla formula pre-pandemia?
«Intanto perché i maturandi che si trovano ad affrontare questa prova sono quelli messi nelle condizioni peggiori: hanno fatto un anno di Dad, l’altro di lezioni in presenza a singhiozzo e questo ancora funestato dal virus».
Non teme di passare per quelli che vogliono fare le vittime? C’è chi vi ha già dato dei bamboccioni.
«Fa male questa narrazione perché è falsata: invito a guardare l’incidenza di ansia, stress, disturbi alimentari, depressione tra gli adolescenti.
Chiediamo un esame diverso, e da ben prima della pandemia».
Cioè non volete gli scritti?
«Vogliamo un elaborato scritto da presentare oralmente, preparato coi docenti, interdisciplinare e che vada oltre i programmi».
La seconda prova è scelta dalle
commissioni, non è una facilitazione?
«È l’unico dato positivo. Ma anche qui ci sono difficoltà. Nei tecnici la seconda prova è pratica: chi ha avuto laboratori a singhiozzo come si è potuto preparare? Vale anche per una versione di greco, difficile da affrontare se hai delle lacune nella morfologia o nella sintassi».
Veniamo all’alternanza scuola-lavoro, ora chiamata Pcto: cosa non va?
«Noi non contestiamo il rapporto tra la scuola e il mondo del lavoro che è necessario così come l’apertura al territorio. Ma deve essere rivisto radicalmente perché non si può accettare di esporre gli studenti a un mercato del lavoro che conta 1400 morti all’anno. Va bene che si lavori col ministro Orlando, come annunciato, si passi ai fatti però».
La protesta è scattata sulla morte di Lorenzo, in stage in una fabbrica durante il percorso di formazione professionale, che non è Pcto.
«Più che strumentalizzazione, si è fatta confusione: sono percorsi differenti. Ma il tema della sicurezza riguarda tutti, si deve investire su questo. Rispetto al rapporto tra la scuola e il mondo del lavoro non possiamo avere, all’opposto del caso di Lorenzo, studenti impiegati a fare fotocopie o caffè: è umiliante. Deve essere uno strumento didattico, una forma di insegnamento fuori dalle aule. Rigettiamo la logica che così ci abituiamo a quello che ci aspetta, perché per noi “quello” non ha posto.
Piuttosto abbattiamo gli steccati tra licei e tecnici, si riveda il ciclo di studi con obbligo a 18 anni e un biennio comune. Forse è venuto il momento di liberarci del fardello di una scuola gentiliana».
Bianchi fa riferimento al Pnrr, potrebbe essere l’occasione?
«Far partire una nuova scuola senza la nostra voce non è possibile.
Vogliamo essere ascoltati e capiti.
Bianchi si confronti con noi. Di cose da dire ne abbiamo».