di Massimo Franco
Era inevitabile che le voci e la confusione lievitassero. La conferma del «no» di Sergio Mattarella alla propria rielezione al Quirinale ha esposto di rimbalzo la candidatura di Mario Draghi. Si capirà solo nelle prossime settimane se alla fine si rivelerà un bene o un male. Ma le parole del capo dello Stato dovrebbero essere un elemento di riflessione in più, per quanto scomodo. L’impressione è che Mattarella abbia colto un’altra occasione per smarcarsi da quanti sperano di usare un prolungamento del settennato, anche solo a tempo, per indebolire il premier.
E pazienza se una parte del Paese e della comunità internazionale tifa per la conferma di entrambi. In qualche modo, Mattarella ha voluto togliere alibi a tutti i partiti. Intanto, a chi coltiva l’idea di sabotare il passaggio di Draghi al Quirinale, sostenendo che deve rimanere a Palazzo Chigi per finire il lavoro cominciato. Argomento forte perché, si aggiungeva, sarà garantito dalla permanenza di Mattarella. Ma ha parlato anche a chi, a destra, pensa a «promuovere» Draghi per fargli sciogliere le Camere: il modo migliore, in un Parlamento terrorizzato dal voto anticipato, per delegittimarlo.
Dissociarsi da questi scenari è un modo per richiamare tutti a preparare un’intesa che porti alla scelta del successore. Ma è anche un invito a rendersi conto che una rissa parlamentare sul Quirinale sarebbe suicida. Chi sostiene che con un altro inquilino del Quirinale il governo Draghi potrebbe andare avanti come prima, compie un atto di fiducia al buio. Come minimo, dipenderebbe dal modo in cui si arriva all’elezione.
E in quel caso bisognerebbe spiegare perché un premier sostenuto da una maggioranza schiacciante a Palazzo Chigi, non la ottiene per fare il capo dello Stato; ma la riavrebbe miracolosamente dopo per governare. È un problema ingessare gli equilibri istituzionali esistenti: non solo per l’indisponibilità di Mattarella, ma perché comunque al massimo tra un anno e mezzo la legislatura finisce; e gli interessi elettorali cresceranno quasi per forza d’inerzia.
In parallelo, aumenta la consapevolezza dei rischi che si corrono a toccare lo status quo. Si tratta di un garbuglio ampiamente previsto, e per ora senza soluzione. L’epilogo più temuto, tuttavia, è quello meno citato: che al termine di questa fase, i due uomini ai vertici delle istituzioni che hanno garantito l’uscita dalla pandemia, restituito credibilità internazionale e impostato la ripresa economica, escano entrambi di scena; e i partiti non riescano a evitare il voto nel 2022. Ritorna la domanda se l’Italia possa privarsi in un colpo solo di Mattarella e di Draghi.