Non avrà il coraggio di definirlo un altro «capolavoro politico» come aveva detto, con la consueta spocchia, dopo la caduta del governo Conte 2. Eppure anche stavolta, sul dl Zan, Matteo Renzi è riuscito a fregare l’odiato Enrico Letta.
Nel Pd tutti avevano osservato le sue mosse, dalla primavera in poi, di avvicinamento al centrodestra: sia sulle alleanze locali, sia sulla legge anti-omofobia. E del resto, dopo aver scritto la legge alla Camera con Lucia Annibali e averla convintamente votata, per quale ragione Italia Viva avrebbe dovuto inventarsi mille dubbi e distinguo al Senato? Nessuna ragione di merito.
Solo che lo scenario politico, nel frattempo, è completamente cambiato: Conte è caduto, l’ascesa di Letta alla guida del Pd, e il progetto di un nuovo Ulivo con il M5S, hanno fatto capire a Renzi che l’unica strada per sopravvivere era guardare a destra. E così ha fatto: piano piano, senza dare troppo nell’occhio, flirtando con i leghisti sul ddl Zan ma poi garantendo i voti al centrosinistra nei passaggi cruciali.
Fino alla mazzata di ieri, con la copertura del voto segreto, lui in Arabia saudita al riparo dai cronisti, mentre la faccia in aula al Senato ce l’ha messa il capogruppo Davide Faraone.
Lo stesso Faraone che è stato regista in Sicilia della prima vera operazione di trasloco dei renziani nel centrodestra, con la nascita al parlamento siciliano del gruppo «Forza italia- Sicilia Futura-Italia Viva, che sostiene il presidente Nello Musumeci. Un accordo preceduto da una cena tra Renzi e il capo di Forza Italia Gianfranco Miccichè.
E del resto anche Torino i renziani si sono schierati alle comunali con il candidato del centrodestra (sconfitto) Paolo Damilano.
Una rete di contatti, da nord a sud, che tocca anche Napoli, dove invece Iv ha fatto una lista con l’ex coordinatore cittadino di Fi Stanislao Lanzotti ma a sostegno del candidato di centrosinistra Gaetano Manfredi.
Una “transizione”, quella di Renzi, che si è mossa sotto traccia, senza troppo clamore mediatico. E che ha visto nell’affossamento del dl Zan una tappa fondamentale. Per andare dove? Se resterà questa legge elettorale potrebbero spuntare qualche collegio blindato. Con il proporzionale invece punterebbero a una forza di centro nel segno di Draghi.
Per il momento la partita è quella del Quirinale, di cui il voto di ieri è stata un antipasto. Al centrodestra infatti mancano proprio i voti dei renziani per riuscire a imporre un proprio nome al Colle. Lo dicono in tanti, dal grillino Vincenzo Spadafora alla dem Monica Cirinnà alla capogruppo di Leu Loredana de Petris. «Hanno giocato la partita del Colle sulla nostra pelle», si sfoga Zan.
E Bersani, che di franchi tiratori se ne intende, avverte: «Il voto in Senato è stata una prova generale per il quarto scrutinio per il Quirinale. È tempo che il campo progressista prenda piena coscienza della situazione».
Dall’Arabia Renzi dà la linea ai suoi: accusare Pd e M5S. «Ci sono stati 40 franchi tiratori. La responsabilità di oggi è chiara: e dire che per Pd e Cinque Stelle stavolta era facile, più facile dei tempi di “O Conte o morte”. Non importava conoscere la politica, bastava conoscere l’aritmetica».
I dem hanno certamente sottovalutato la forza dell’asse tra i due Mattei. O meglio: hanno ritenuto di giocarsi il tutto per tutto. Letta aveva capito dai contatti degli ultimi giorni che a destra non c’era nessuna volontà di trovare un’intesa, neppure in Forza Italia. Contemporaneamente i renziani avevano garantito lealtà nel voto in aula. Così il Pd ha deciso di tentare il tutto per tutto.
A giochi fatti, al Nazareno non ci sono dubbi: «I renziani hanno lasciato le impronte digitali, l’ex leader del centrosinistra italiano è corresponsabile di un voto che colloca l’Italia ai livelli di Polonia e Ungheria sui diritti civili».