Cosa si può aggiungere ancora a ciò che è già stato scritto, detto, mostrato di Jeff Koons (York, Pennsylvania, 1955) l’artista vivente più famoso al mondo, che ha fatto impennare il mercato dell’arte con le cifre vertiginose delle sue opere, scavalcato la fruizione di classe con la sua ironia iconica, occupato i musei del globo con le sue mostre e ricevuto la Legion d’Honneur nel 2011 dal presidente Chirac e la U.S Department of State’s Medal of Arts nel 2013 da Hillary Clinton?
NULL’ALTRO che la constatazione di quanto lo sterminato pubblico alla sua mostra Shine a Palazzo Strozzi (visitabile fino al 30 gennaio 2022) sia appagato associando la visione alla ritualità spasmodica del selfie (atto che autocertifica l’io digitale rivolto al mondo). Le seducenti opere di Jeff Koons, attraverso la potente empatia che emanano, sono il dispositivo esemplare di «desiderabilità sociale» (esprimendo il bisogno contemporaneo di impressionare l’altro con la propria unione digitale dell’opera-desiderio e del sé). Una perfezione di intenti.
La vasta esposizione fiorentina Shine, curata da Arturo Galansino e Joachim Pissarro, ritagliata sulla dominante della «lucentezza» (effetto prodotto dall’acciaio inossidabile lucidato a specchio usato per le sculture di Koons), è un sortilegio psico-visivo che immerge lo spettatore all’interno della quotidianità turbo-consumistica, ma anche in un processo percettivo ludico e desacralizzante dell’opera d’arte. Ed è ciò su cui Koons, fin dagli anni Ottanta (epoca in cui la filosofia dell’edonismo reaganiano cavalcava l’immaginario) ha lavorato, traslitterando la high culture nella cultura di massa. Rimasticando l’alfabeto formale della Pop art intessuto da Andy Warhol, l’artista lo innesta nell’epoca neoliberista con valenze psicotiche.
LA STAR AMERICANA, di lucida intelligenza, ha studiato al Maryland Institute College of Art di Baltimora e alla School of the Art Institute di Chicago. Ha lavorato prima al MoMa di New York, poi come broker a Wall Street e, infine, si è dedicato all’arte. Della sua celeberrima carriera, tracciata da diatribe, pseudo-scandali, tentate censure e mirabilia, ben si sa e queste ultime ne hanno accentuato il suo carisma mediatico, così glamour e al tempo stesso così discusso.
IN FONDO, IN UN’EPOCA in cui il soggetto contemporaneo è manipolato dal consumismo smodato, lo sdrucciolamento che Koons attua è di fungere da agent provocateur , una posizione che media tra il desiderio feticistico e la sua sublimazione. La produzione koonsiana, infatti, è concepita partendo dall’oggetto quotidiano e dalla sua banalità funzionale, estratta dall’immaginario collettivo e trasferita nella dimensione del godimento estetico. Una sorta di appagamento ludico che denuda la superficialità del desiderio collettivo e la sua stereotipizzazione.
Al tempo stesso, Koons ridefinisce la scultura contemporanea, riproducendo arditamente l’universo sensibile nelle sue forme più abituali e nei suoi nuovi miti neo-pop.
NELLA MOSTRA Shine questa caratteristica si avverte epidermicamente, proprio perché accentuata dalla componente materica ed effettistica. La lucentezza dell’acciaio inossidabile, la sua levigata e specchiante materialità, incorpora lo spettatore e riverbera la realtà circostante, in qualche modo, annodando il fruitore al mondo. In maniera particolare ciò si evince nella grande scultura Balloon Monkey (Blue) del 2006-2013, allocata nel cortile e che per la sua dimensione (circa 6 metri di altezza e quasi 5 tonnellate di peso) induce lo spettatore a una sorta di capogiro estetico.
L’effetto spiazzante si ripete nelle sale espositive laddove le monumentali sculture – Sacred Heart (Magenta/Gold) del 1994- 2007, Ballon Dog (Red) del 1994-2000, Balloon Monkey (Blue) del 2006-2013, il policromo Elephant del 2003 e l’argenteo e oramai mitico Rabbit del 1996, del ciclo Inflatable (nel 2019 da Christie’s, New York, ha raggiunto il prezzo record di 91.1 milioni di dollari) – si protendono con tutta la loro luccicante iconicità verso un fruitore assalito dalla fuggevole rimembranza a cui le sculture conducono. E così accade anche per le imponenti: Seated Ballerina del 2010-2015, Bluebird Planter del 2010-2016 e per le coloratissime Hulk (Tubos) del 2004-2018 e Lobster del 2007- 2012. E, sagacemente, fa divenire oggetto desiderante perfino i capolavori del passato, come le due statue in gesso Gazing Ball (Apollo Lykeios e Diana) del 2013 e gli oli su tela di Gazing Ball che riproduco Rubens, Tintoretto, Tiziano.