Dopo il voto
di Franco Camarlinghi
Enrico questa volta può essere sereno davvero, almeno per qualche tempo: la sfida personale nel collegio toscano l’ha vinta con largo margine e può lasciarsi alle spalle il Monte dei Paschi, per fare il suo ingresso a Montecitorio. Inoltre, i risultati delle Amministrative non possono che confortarlo. L’osservatore esterno alla battaglia politica concreta potrebbe fare una sua prima osservazione sulla bassa affluenza al voto e sulla precarietà dei risultati, ma a una classe politica che vive alla giornata che volete che importi delle analisi dell’Istituto Cattaneo? Intanto, prendiamo e portiamo a casa. Anche in Toscana la tendenza è la stessa che si è affermata sul piano nazionale e una volta sottolineato il rischio di una disaffezione crescente e cresciuta dei cittadini nei riguardi del voto, il primo fatto che balza agli occhi è la conferma della minorità politica del centrodestra, capace di prevalere in alcune situazioni, ma non per merito dei partiti che lo compongono. Prendiamo come esempio Grosseto e la riconferma del sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna. Quando fu eletto per la prima volta nel 2016 molti poterono ironizzare sull’abbondanza di nome e cognome, ma l’esperienza successiva ha messo in chiaro le capacità di governo e di simpatia del nostro nobiluomo. Tutto ciò per dire che più che la vittoria del centrodestra si tratta di quella del candidato ed è proprio il contrario di ciò che è avvenuto quasi dovunque a Salvini e a Giorgia Meloni.
due leader della destra si sono giocati il vantaggio che sul piano nazionale veniva loro attribuito dai sondaggi, presentandosi nudi (si fa per dire, naturalmente) agli elettori, cioè senza un minimo di candidati competitivi. Chiedersi il perché è forse inutile, probabilmente non esiste una classe politica intorno a quei leader che possa essere spesa sul territorio, ma curiosamente è una questione che se emerge dovunque, in modo speciale va considerata in una realtà come quella toscana. La battaglia per le Regionali non ha insegnato niente soprattutto a Salvini: la ricerca della qualità dei candidati, per una sfida che a sinistra, allora, non vedeva in campo Willy Brandt o un nuovo Mitterrand. Ancora per dire le cose francamente: quello che Letta ritiene un trionfo, sia personale sia di partito, in quel di Toscana e nel resto d’Italia va ridimensionato, seppure riconoscendo la prevalenza ottenuta dal centrosinistra, con un paio di osservazioni. La prima è che vincere con avversari che magari hanno più tifosi, ma non riescono a portare in campo se non combattenti assonnati o appena reduci da un forte raffreddore, non ti può assicurare che la prossima volta sia la stessa cosa. La seconda è che la teoria del centrosinistra allargato a chiunque, ti può far vincere, ma poi impedire di governare. Uno degli esempi in questo senso è Sesto Fiorentino dove il sindaco che sconfisse con clamore nazionale il Pd, cinque anni dopo viene eletto, ovviamente con altissima percentuale, da una coalizione in cui sta anche il partito che lui stesso umiliò su posizioni di governo opposte. Ancora più importante può rivelarsi la contraddizione dell’alleanza con ciò che resterà del M5S che, a vedere dai risultati di queste Amministrative, a parte Napoli, di suo al Pd porta poco, mentre in futuro potrà volere molto. In Toscana la questione di cui sopra ha un risvolto di particolare rilievo per essere stata la regione dove è sorta l’esperienza di Matteo Renzi che, a giudicare dal voto di ieri e di domenica, più o meno riesce a sopravvivere. Una sopravvivenza che vedremo nel futuro quanto potrà rinvigorirsi o meno, ma che lo stesso pone il problema di quale prospettiva di alleanze si porrà veramente al Pd in un futuro senza Draghi. Su una cosa Letta ha ragione nel giudicare i risultati elettorali: la destra di Salvini e della Meloni non è detto che non possa essere sconfitta, ma è possibile che il merito sia più del capitano e della sua alleata che del segretario Pd.
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