Le elezioni in Germania
di Lucio Caracciolo
I l voto tedesco inciderà sul nostro futuro più di quanto potranno le elezioni italiane, quando che siano. Soprattutto se a Berlino nascerà un governo con i liberali ago della bilancia — a oggi la soluzione meno improbabile li assocerebbe ai socialdemocratici e ai verdi, ma quasi nulla è escluso — e con il loro leader Christian Lindner alle Finanze. In tal caso, la spinta tedesca per tornare al più presto all’austerità fiscale (e monetaria) si farà pesante. Per noi, il patto di stabilità e crescita in versione ante-Covid significa instabilità e decrescita, con in più il fardello di un debito enorme, che non cessa di crescere. Una simile restaurazione sarebbe un disastro anche per la Francia, il che avvicina di fatto Roma e Parigi alla vigilia della firma del loro trattato bilaterale, che i francesi battezzano “del Quirinale”. Il prossimo scontro fra “cicale” e “formiche” s’annuncia tremendo.
Nell’attesa, l’intera Eurozona è in fibrillazione.
Il nuovo cancelliere, quasi sicuramente il socialdemocratico Olaf Scholz, dovrà tenere insieme una coalizione molto eterogenea. La Germania avrà difficoltà a governare sé stessa.
E siccome è stata finora il riferimento di ultima istanza in campo europeo, la tendenza al ciascuno per sé nessuno per tutti ne uscirà rafforzata, con buona pace delle eurocrazie brussellesi. Non resta molto più dei soldi a tenere insieme l’Unione Europea. E proprio mentre gli Stati Uniti hanno la testa altrove — a casa propria prima, in Cina solo dopo. Se la futura politica fiscale dell’area euro sarà di tono opposto all’attuale, i fantasmi esorcizzati dalla cancelliera uscente, esausta maestra del rinvio, finiranno per materializzarsi.
Riscopriremo la costituzione materiale dell’Europa, radicata in secoli di storie contrapposte, del tutto aliena ai flautati minuetti dell’europeismo.
La Germania è a un bivio. Intende rientrare consapevolmente nella storia, oppure continuerà a considerarsi una “Grande Svizzera” vestendo dei pallidi colori europei i propri esclusivi interessi nazionali? Questo il nodo che Merkel non ha voluto sciogliere, preferendo temporeggiare, manipolare, mediare perfino con sé stessa. Come osservò il ministro degli Esteri, il socialdemocratico Heiko Maas, con Merkel la società tedesca “era in coma vigile discorsivo”, convinta che “tutto fosse scontato: la sicurezza, il benessere — niente di cui preoccuparsi”.
Questa Germania non pare capace di stabilire il suo posto nel mondo. Eppure la stessa cancelliera ha più volte affermato che il tempo in cui ci si poteva affidare agli altri (leggi: gli americani) è passato. I tedeschi dovrebbero riprendere un pezzo del proprio futuro nelle loro mani. La consapevolezza, forse anche l’intenzione, esiste in buona parte dell’élite. Ma una cultura strategica non s’inventa dalla mattina alla sera.
Specie se l’opinione pubblica non segue. La Germania ha segnalato in vari modi e toni la sua insofferenza per la tendenza americana a porla davanti ai fatti compiuti, come usano i potenti con i semiprotettorati. In questione è nientemeno che il destino dell’Alleanza Atlantica. Uno degli scopi impliciti della Nato è “tenere i tedeschi sotto”. Berlino intende uscire dalla sua condizione postbellica, una volta per tutte? E davvero pensa che Washington le concederà spazio?
Qui siamo al cuore del dilemma geopolitico tedesco. Che fare con i nemici dichiarati dall’America: Russia e Cina. La Germania ha da sempre rapporti molto speciali con la Russia, indipendentemente dal suo regime. E per questo si è spesso trovata in contrasto con gli Usa e con gli europei già satelliti di Mosca, polacchi in testa. Il raddoppio del gasdotto Nord Stream è l’ultimo, clamoroso caso. Da trent’anni, inoltre, Berlino e Pechino hanno stabilito relazioni industriali e commerciali di primissimo livello. La Germania non è disposta a partecipare fino in fondo al contenimento della Cina. In entrambi i casi, però, se resti fra due sedie paghi prezzi alti.
Eurozona, America, Russia e Cina: i nodi da sciogliere sono colossali. Questo voto sembra confermare che il popolo tedesco non intenda occuparsene. E che comunque il prossimo governo sarà troppo debole e diviso per affrontarli.
D’accordo, valicare la linea d’ombra è spesso doloroso.
Ignorarla lo è sempre.