Questi sono i giorni dell’uscita di Cyberpunk 2077 – e della sua rocambolesca rimozione. Un videogioco, dunque ancora relativamente al riparo, e forse per il meglio, alle attenzioni del giornalismo generalista: ma l’impatto sulla cultura e sul mercato di massa non è inferiore a quello di un qualunque altro colossal dell’intrattenimento. E l’occasione è propizia per parlare di cyberpunk, come genere letterario e soprattutto come mitologia della modernità. Cominciamo dalla data, 2077: lontana, ma abbastanza vicina perché alcuni che adesso leggono possano sperare, o temere, di vederla. William Gibson ambienta ancora prima Neuromante: 2035. “Alcuni di coloro che sono qui presenti non gusteranno la morte”, dice Gesù agli apostoli, e così è insita nel cyberpunk una certa promessa messianica, ma senza misericordia, il fine di un processo già avviato.Se la distanza cronologica e concettuale consegna gli imperi galattici di Herbert e Asimov alla stessa irrealtà della Terra di Mezzo, due elementi del nostro presente sono già embrioni di un prossimo futuro al neon: l’integrazione fra tecnologia e biologia, e il primato dell’economico sul politico. Elon Musk produce, oltre che automobili per ambientalisti danarosi, promesse visionarie di chip nel cervello, e l’autorità esercitata su frammenti di vita democratica da aziende come Google e Facebook, che operano pressoché in condizioni di monopolio, riporta in Occidente la coincidenza fra nazione e mercato tipica delle compagnie coloniali seicentesche.
Manca un terzo elemento, che definisce le narrazioni cyberpunk: la brutalità. La nostra modernità è brutale, violentissima, ma, insieme alla trascendenza, ha perso la capacità di narrare i propri peccati. Dunque il cyberpunk è solo il presente liberato, per intercessione della letteratura, dalla speranza:
Nessuno scrive davvero del futuro. Tutto quello che ci rimane quando fingiamo di scrivere del futuro è il momento in cui stiamo scrivendo. Ecco perché ogni futuro immaginato diventa obsoleto come un gelato che si scioglie mentre uscite dalla gelateria all’angolo
William Gibson
La somma del possibile cresce, eppure l’accesso al possibile è regolato da meccanismi di classe, di identità. Fra i trattamenti di longevità e la mancanza di acqua potabile, nel divaricarsi della forbice, il futuro non è equamente distribuito. In qualche modo, il cyberpunk è letteratura post-apocalittica, solo che l’Apocalisse la stiamo già vivendo. L’altra narrazione, quella neo-illuminista, ha qualcosa di insieme ingenuo e grottesco. Transumanesimo e singolarità tecnologiche sono strumenti moderni applicati, con la stessa vocazione alchimistica di sempre, a promesse antiche – la perfezione, l’immortalità.L’ottimismo scientifico offre un futuro che potrebbe essere il futuro di qualsiasi epoca, dice poco di noi oggi e molto del ridicolo comune ad ogni tempo; per indagare l’Apocalisse, il chiaroscuro in cui nascono i mostri, ci serve il cyberpunk. Ecco il mondo, allora:
Night City era come un esperimento deragliato di darwinismo sociale, concepito da un ricercatore annoiato che tenesse un pollice in permanenza sul pulsante dell’avanti-veloce. Se smetti un attimo di farti largo a spintoni, affondi senza lasciare traccia; muoviti un po’ troppo alla svelta e finirai per spezzare la fragile tensione di superficie della borsa nera; in entrambi i casi sparirai senza che di te rimanga traccia alcuna, salvo un vago ricordo nella mente di un’istituzione come Ratz, anche se il cuore, i polmoni o i reni potranno sopravvivere al servizio di qualche sconosciuto fornito di un sacco di nuovi yen per i serbatoi delle cliniche. Qui gli affari erano un costante ronzio subliminale, e la morte la punizione accettata per la pigrizia, la negligenza, la mancanza di grazia, l’incapacità di rispettare le esigenze di un intricato protocollo
William Gibson
Una marea che attende la caduta degli ultimi argini – la verticalizzazione della ricchezza, il tracollo del welfare novecentesco annunciano questo esito, un rat racesenza freni e senza confini, la mentalità degli yuppie caricata su canali di diffusione globali. Se strappiamo il velo del capitalismo filantropico – nella forma più o meno imbarazzante di Soros che finanzia le ONG o di Fedez che regala soldi ai passanti – rimane proprio il darwinismo sociale: il neoliberismo spinto al limite, come sarà spinto dalla pandemia, dalla crisi del debito e dal riscaldamento globale, è un meccanismo per tenere la barca a galla buttando a mare i deboli. Margaret Thatcher, nell’annunciare che la società non esiste, rileva già la solitudine di Night City, il gioco paradossale fra l’integrazione tecnologica nell’epoca dei media di massa, dei viaggi intercontinentali, e il vuoto empatico del sistema socioeconomico che ne sostiene l’esistenza:
La facoltà empatica, tanto per cominciare, richiedeva probabilmente un istinto di gruppo integro; un organismo solitario, per esempio un ragno, non saprebbe cosa farsene; anzi, l’empatia tenderebbe ad atrofizzare la capacità di sopravvivenza del ragno. Lo renderebbe conscio del desiderio di vivere insito nella preda. Di conseguenza tutti i predatori, compresi i mammiferi altamente evoluti, come i felini, morirebbero di fame. […] Perché, in fondo, il dono dell’empatia rendeva indistinti i confini tra vittima e carnefice, tra chi ha successo e chi è sconfitto
Philip K. Dick
Se il comunismo, dice Lenin, è il potere sovietico più l’elettricità, il cyberpunk è il neoliberismo più gli impianti neurali: dopo che Nietzsche ha annunciato la morte di Dio, Foucault e i post-strutturalisti la morte dell’uomo, la vicenda esistenziale dell’Occidente culmina nella resurrezione di un uomo-macchina, non più integralmente umano. L’obsolescenza dell’umanesimo comincia dalle disturbanti prese di coscienza dell’individualismo, dell’oggettivismo:
Dio e l’umanità hanno fondato la loro causa su nulla, su null’altro che se stessi. Allo stesso modo io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro, che sono il mio tutto, io che sono l’unico
Max Stirner
Neuromante è la storia della ricerca di un’identità: Invernomuto, un’intelligenza artificiale, vuole scardinare i lucchetti digitali imposti dai suoi creatori e unirsi al suo programma gemello, fondare la propria causa su se stesso.Mentre le possibilità tecnologiche si moltiplicano, si scioglie quello che Stirner chiama rude pugno della morale: senza più un canone delle proibizioni, l’identità si realizza nel superamento stesso dei limiti, scompare il volto dell’altro che, nella visione di Levinas, rappresenta la controparte al potere del singolo. La proteiforme biotecnología cyberpunk, il proliferare di strumenti per rifare il corpo, realizza il sogno di Max Stirner, un’identità senza altro lessico che se stessa, senza legge e senza tassonomia. Nel paesaggio dello sprawl, il feudo delle megacorporazioni, compare l’ombra di Ayn Rand:
Lo skyline di New York è un monumento il cui splendore non è eguagliato dal alcuna piramide o palazzo. Ma i grattacieli americani non sono stati costruiti con fondi pubblici, né per scopi pubblici: sono stati costruiti dall’iniziativa, dall’energia e dal benessere di individui privati per realizzare profitti personali
Ayn Rand
Cyberpunk è un mondo – che, di nuovo, è il nostro – in cui non c’è differenza fra il potere del dollaro e quello della frusta. A lasciare interdetti è proprio la coincidenza fra Night City e le nostre città. Qui sta la differenza tra finzione e mitologia: la mitologia è un destino. Un destino antico quanto la volontà di potenza: la scienza, la tecnica, il capitalismo e l’individualismo scorrono attraverso i secoli, come fiumi carsici, ed emergono infine fra le macerie di misticismo e umanesimo. Sulle loro sponde sorge la modernità: oltre, quando diventano oceano, c’è il cyberpunk. Guardando appena indietro, dalle distopie di Gibson e Dick, il percorso appare chiaro. Il cyberpunk smaschera la smisuratezza del presente, mostrandola realizzata. Non c’è, ovviamente, traccia di un giudizio, perché la necessità del giudizio è uno fra i limiti dissolti:
La tecnica non osserva la distinzione fra uso morale e immorale. Tende, al contrario, a creare una morale tecnologica completamente indipendente
Jacques Ellul
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