Le grandi città senza un cardinale, gli italiani messi in un angolo E lo spettro dell’irrilevanza politica. La mappa dei delusi da Francesco
di Paolo Rodari
CITTÀ DEL VATICANO — Lo scontro tra parte della Chiesa italiana e Francesco è aperto da tempo. Da mesi il fronte anti Bergoglio lamenta la mancanza della porpora in alcune delle sedi più prestigiose italiane: Torino, Venezia, Milano e Palermo. Un chiaro segno, dicono, della volontà papale di depotenziare la spinta italiana all’interno del collegio cardinalizio. Oggi questa porzione di Chiesa soffre che con il “caso Becciu” siano ancora l’Italia e i suoi rappresentanti ecclesiali a essere giudicati inadeguati. Del resto, all’ultimo Conclave, il mandato offerto dai cardinali non italiani fu chiaro: gli scandali, a cominciare da Vatileaks, sono provocati dagli italiani, occorre andare oltre.
Il primo fronte anti bergogliano è sbocciato nella vecchia dirigenza dell’Istituto Giovanni Paolo II su matrimonio e famiglia. Qui il cardinale Carlo Cafarra, emerito di Bologna oggi scomparso, insieme alla leadership in sella fino a un paio di anni fa, ha insinuato l’idea che il magistero di Francesco tradisca quello di Giovanni Paolo II: «Non si rinnova la casa distruggendola», ha detto non a caso il professor Stanis?aw Grygiel, filosofo polacco, amico di Wojtyla ed ex docente dell’Istituto. E ancora, in contrapposizione al nuovo pontificato: «La Chiesa d’oggi ha bisogno di un Mosè che, portato dall’ira del Dio misericordioso metterà a ferro e fuoco tutti “i vitelli d’oro” nella cui adorazione il popolo, con il permesso di tanti pastori, sta cercando la felicità ». Francesco ha voluto cambiare radicalmente la leadership dell’Istituto, una mossa che ancora oggi crea malumori e risentimento negli ex.
Molti presuli italiani scontenti del papato non escono pubblicamente allo scoperto. Sono silenti, ma operanti. Temono ritorsioni. Così mandano avanti gli emeriti, vescovi ormai in pensione che non hanno più nulla da perdere. Fra questi, più di altri, l’ex nunzio a Washington Carlo Maria Viganò che non ha esitato, nell’estate del 2018 mentre Francesco si trovava in una Irlanda ancora scossa dagli scandali della pedofilia, a chiedere le dimissioni del Papa per presunte coperture sulla doppia vita del cardinale Theodore Edgar McCarrick. Ieri Camillo Ruini, ex presidente della Cei, ha riacceso sul Corriere della sera la miccia dicendo che «non sarebbe bene che la Chiesa italiana fosse sottorappresentata» e, insieme, sostenendo «che criticare il Papa non significa essere contro di lui». Ruini è il “grande vecchio” a cui un certo mondo continua a riferirsi. La Chiesa italiana, orfana delle battaglie sui princìpi, lamenta l’irrilevanza politica e culturale del nuovo corso inaugurato in Cei dal fedelissimo di Francesco, Gualtiero Bassetti. «Il rischio dell’irrilevanza è dietro l’angolo», ha sostenuto il sociologo Franco Garelli riportando un giudizio esistente anche negli osservatori non di parte. Ma altri usano il tema dell’irrilevanza contro il Papa: «Ci vuole rendere superflui», dice un presule che intende restare anonimo. E ancora: «Con Francesco al soglio di Pietro la Chiesa italiana è finita».
Ruini chiede dialogo sia con Matteo Salvini sia con Giorgia Meloni. Molto del dissenso al Papa attinge energie in queste forze politiche di destra, e va oltre anche i confini italiani. Ma la Chiesa nostrana, anche quella amica di Francesco, non prende posizione lasciando che lo stesso dissenso si diffonda. Più volte sono usciti allo scoperto altri vescovi emeriti. Tra questi monsignor Luigi Negri, ex arcivescovo di Ferrara, che ha criticato il Papa in particolare sulla concessione dell’eucaristia ai divorziati risposati messa in nota in “Amoris Laetitia”.
Dice Iacopo Scaramuzzi, autore di Dio? In fondo a destra. Perché i populisti sfruttano il cristianesimo
(Emi): «Quando Matteo Salvini indossa la t-shirt “il mio papa è Benedetto”, quando Giorgia Meloni lancia l’urlo di battaglia “sono una madre, sono italiana, sono cristiana”, non improvvisano. Dietro di loro c’è una rete, italiana e internazionale, che prende di mira papa Francesco perché impedisce di appropriarsi del cristianesimo, di trasformarlo in una ideologia identitaria. Lorenzo Fontana, fedelissimo di Salvini, si è laureato a Padova con una tesi sui movimenti populisti europei: “Siamo prima di tutto — scriveva già nel 2011 — un popolo di razza bianca, di cultura greca e latina e di religione cristiana”. Anni dopo firma un libro, “La culla vuota della civiltà”, a quattro mani con Ettore Gotti Tedeschi, banchiere dell’Opus dei, ex presidente dello Ior, critico indefesso di Francesco. Prefatore, Salvini. Il quale, insieme a Giancarlo Giorgetti, è divenuto membro della fondazione Sciacca, una realtà conservatrice presieduta da Raymond Leo Burke, cardinale trumpiano e capofila dell’opposizione curiale a Bergoglio. I legami internazionali sono forti».
E continua: «Mentre Salvini tesse rapporti tanto con gli Stati Uniti quanto con il Brasile di Jair Bolsonaro, Giorgia Meloni non è da meno: la ritroviamo a Washington al National Prayer Breakfast aperto da Trump, a Verona all’incontro delle famiglie promosso da una sigla nata nella Russia putiniana, a Roma a marzo scorso inaugura un convegno di “conservatorismo nazionale” con il presidente ungherese Victor Orban».
Un luogo dove l’opposizione al papato è destinata a crescere, soprattutto in Italia, è l’Abbazia di Trisulti. L’arresto per frode e riciclaggio di denaro di Steve Bannon sembravano aver depotenziato l’idea di usare dell’Abbazia come sede europea da cui lanciare i paladini della crociata per la salvezza dell’occidente giudaico-cristiano. Ma ad oggi l’Abbazia è ancora assegnata alla bannoniana Dignitatis Humanae Institute (Dhi), l’associazione vincitrice del bando ministeriale nel 2016 della quale fino a pochi mesi fa faceva parte il cardinale Raymond Leo Burke che più volte si è espresso contro alcuni temi cardine del pontificato in corso.