di Emanuele Lauria
ROMA — C’erano una volta i populisti. Le elezioni regionali consegnano al Paese il ridimensionamento della Lega e la picchiata senza sosta dei 5Stelle. I partner del vecchio governo gialloverde si trovano dentro una crisi certificata dai numeri: negli ultimi 15 mesi, nei territori in cui si è votato domenica e lunedì scorsi, i due partiti hanno perso 3,2 milioni di voti. È un calo dalle dimensioni e dall’andamento diverso: i grillini, dopo il boom alle Politiche che li ha fatti diventare prima forza in Parlamento, hanno iniziato una interminabile discesa. Il Carroccio invece aveva accelerato a scapito proprio dei 5S, fino al picco delle Europee 2019 e ai sondaggi del luglio successivo che l’avevano portato a sfiorare il 40 per cento. Poi il Papeete, la fuoriuscita dall’esecutivo e una veloce marcia indietro nelle stime degli analisti che adesso per la prima volta pone interrogativi anche sulla leadership di Salvini, l’uomo del trattore che aveva fatto resuscitare l’anemica creatura bossiana.
Ogni consultazione, è chiaro, ha una storia a sé. Ma i numeri assoluti, prima ancora delle percentuali, bocciano i populisti: in Campania, Puglia, Veneto, Liguria, Toscana e Marche, regioni che rappresentano più di un terzo della popolazione italiana, la sola Lega, nel confronto con le Europee perde quasi un milione di voti, i 5 Stelle vengono abbandonati da due terzi dell’elettorato (da 1,9 milioni circa a 658 mila). E in questo caso Di Maio e compagni non possono neanche ripararsi dietro il paravento della debolezza strutturale del movimento nelle elezioni locali: alle Regionali 2015, negli stessi teatri, M5S prese il doppio dei consensi.
Per Salvini c’è invece il rischio di una gigantesca scommessa persa. Il segretario si è giocato tutto nella “nazionalizzazione” della Lega, in uno sfondamento in quello che un tempo era il vituperato Meridione. A questo scopo ha cambiato la ragione sociale del partito, dal federalismo al sovranismo. La risposta di due fra le più grandi Regioni del Sud mortifica questo tentativo: in Campania la Lega prende il 5,6 per cento (132 mila voti) contro il 19,2 per cento delle Europee (419 mila consensi), in Puglia arriva al 9,57 per cento (160 mila voti) ma è sotto di quindici punti (25,3) rispetto a 15 mesi fa quando accumulò oltre 400 mila consensi. È in discussione, a questo punto, anche la supremazia nel centrodestra. Perché se Forza Italia prosegue la sua inesorabile flessione, Fratelli d’Italia ormai tallona il Carroccio. Anzi proprio al Sud la Meloni fa il sorpasso: in Campania è davanti di qualche decimale, in Puglia di tre punti percentuali.
Sembra che il vento tiri proprio da un’altra parte, poco più di un anno dopo la richiesta di “pieni poteri” da parte di Salvini. Un altro dato inconfutabile di queste elezioni è che la Lega, sommando i voti delle sei regioni coinvolte, non è più il primo partito ma viene scavalcato del Pd: nelle rilevazioni del Cattaneo, i dem stanno al 18,7 per cento e i salviniani al 13,1. E l’ordine di arrivo non cambia se al bottino dei due partiti vengono aggiunte le prefer enze andate alle liste dei presidenti, quelle di De Luca ed Emiliano per il Nazareno, quella da record di Luca Zaia, capace di fare il 44 per cento in Veneto.
È un dato che potrebbe preludere a una rimonta del Pd anche sul piano nazionale. Sono i trend a parlare: quelli riportati dall’istituto Demopolis di Pietro Vento dicono che il distacco fra Lega e dem è passato dai 15 punti del 5 agosto 2019 (37 a 22) ai 4 di oggi (25 a 21).
«Non nell’immediato ma alle prossime Politiche è plausibile che il Pd superi il partito di Salvini – conferma Salvatore Vassallo, direttore del Cattaneo – La stabilità del partito democratico, la possibilità che recuperi ex elettori 5S, il trasferimento di voti leghisti al Sud verso la Meloni sono fattori che possono accorciare la forbice».
E se Fabrizio Masia, direttore generale di Emg Acqua, è più prudente («I voti in uscita dalla Lega per ora rimangono nel centrodestra»), a un recupero del Pd crede pure Roberto Weber, presidente di Ixé: «Io credo che Lega e democratici presto saranno molto vicini. Fatto prevedibile in un quadro complessivo di crisi dei populismi: la paura del Covid ha derubricato gli altri timori, inclusi quelli cavalcati dalle destre xenofobe. È così ovunque – conclude Weber – non vedo perché l’Italia dovrebbe fare eccezione».