CHIAVI DELLA CITTÀ ALLA BELLUCCI NON BASTAVA UN MAZZO D I FIORI?

di Roberto Barzanti

 

Consegnare le Chiavi di

Firenze alla bellissima Monica Bellucci è stato uno di quei gesti simbolici che mettono inquietudine. Non mancano, certo, precedenti similari: Claudio Baglioni, Richard Gere erano stati gratificati dal Comune di pari cerimoniosità.

E anche la meno nota Emma Marrone lo sarà. Forse perché l’atto del sindaco Nardella segue quello della tanto pubblicizzata visita di Chiara Ferragni agli Uffizi, l’idea riaccende preoccupate riflessioni. Consegnare le «chiavi» significa riconoscere ed esaltare un rapporto straordinario, assimilabile a quello di una cittadinanza da condividere, conquistata per meriti. Significa dare uno status di civico rilievo, echeggiando i moduli di una signoria di timbro rinascimentale. Così che vien da chiedersi se non si sia definitivamente accantonato un orgoglio che non era vacuo campanilismo, visto che per attirare nuova attenzione su monumenti e opere che dovrebbero far parte del bagaglio di conoscenze indispensabile per una cittadinanza vigile e consapevole, si fa leva sulle grandi firme, sui protagonisti di un invadente e frastornante star system. Non c’è nulla di strano o riprovevole se una stella dei social rende omaggio a una celebre Venere posando al fianco di un capolavoro così celebrato; e affidare le chiavi di una città ad una splendida attrice può sembrare un’ammirevole galanteria. A pensarci bene questa sequela di occasioni elevata a eventi porta allo scoperto temi cruciali della cultura che si va formando: cultura nel senso di mentalità diffusa, soprattutto tra i giovani. I valori di un civismo educato a discernere, a selezionare e a capire i fondamenti di cui alimentarsi paiono roba da noiosi Soloni. Devono cedere il passo alla mediatizzazione più ovvia e commerciale: «Quel quadro lo devo vedere anch’io perché l’ha visto lui (o lei), mi affianco a loro in un sopramondo che ci coinvolge in un unico universo prestigioso di scambi». Così essere parte di una cittadinanza fiera del suo passato e capace di aprirsi al presente è come accedere ad un set televisivo, ad una fiction di facile consumo. Anche a Siena in tanti son stati felici di sapere che Mick Jagger aveva apprezzato il meraviglioso pavimento del Duomo e son corsi in molti ad aggirarsi tra Sibille e Profeti fino all’altro ieri ignorati. Non c’è nulla di cui rallegrarsi per queste strategie di marketing. Dimostrano che i sistemi di formazione sono sconfitti, che il primato spetta a gesti o momenti simbolici che usano un patrimonio incomparabile come esca mercantile. Non ci si lamenti poi della movida che è solo una pagina nera della stessa vicenda. Per la Monica bastava un bel mazzo di fiori. Per lo scapigliato Mick un cordiale benvenuto. Ma la società dello spettacolo esige eventi costruiti con un mix che renda indistinguibili feconda autenticità e consumi effimeri, comprensione puntuale e clamore fuorviante.

 

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