Nella crisi da pandemia, l’Italia è discesa al livello di reddito di circa trent’anni fa. Il disastro è di portata simile in quasi tutti i Paesi; ma gli altri, prima, erano saliti parecchio di più. Secondo i calcoli forniti ieri dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, la Germania è ricaduta solo di dieci anni indietro, la Francia e la Spagna di 18. Abbiamo imboccato da anni (forse dalla crisi debitoria del 1992) una traiettoria di declino relativo rispetto ai vicini europei che potrebbe accelerarsi. Di inefficienza amministrativa, evasione fiscale, corruzione, malavita organizzata, sappiamo bene tutti: Visco vede soprattutto un infernale circolo vizioso tra scarsa e scadente istruzione e insufficiente innovazione da parte delle imprese.
Di fronte a questo sono certo utili, ma non risolutive, misure come quella proposta ieri dal ministro Stefano Patuanelli, e a cui anche al Tesoro si sta lavorando: per detassare più ampiamente gli utili reinvestiti dalle imprese, per aiutarle a rafforzare il capitale proprio. Tra l’altro, era uno dei punti dell’ormai quasi dimenticato piano Colao.
Se l’impresa non ha fiducia nel futuro, se pensa che l’Italietta resterà sempre la stessa, non bastano gli incentivi fiscali a convincerla a rinnovare o espandere gli impianti, a tentare di allargare gli affari. Ancor più, non basterà il forte sgravio sul costo del lavoro a indurla a investire in un Sud con gli stessi noti problemi di prima (lo si era già sperimentato in passato).
Guardare oltre i confini serve solo fino a un certo punto. I prossimi mesi saranno duri per tutti, perché i posti di lavoro creati con le nuove iniziative non saranno sufficienti a colmare i vuoti che si stanno aprendo. Il 2021 sarà un anno di elevata disoccupazione; ovunque la proroga in varie forme della cassa integrazione è stata già decisa o lo sarà presto.
Gli altri governi hanno davanti compiti meno ardui, perché possono sperare che, una volta riavviato, il meccanismo economico proceda a una velocità sufficiente. Certe priorità sono comuni: ambiente, infrastrutture, informatica. Sono però diverse le scelte di Parigi e di Berlino.
Il governo tedesco, con un bilancio più solido, può permettersi di riconoscere che i tempi non saranno brevi, e prolunga i sussidi. Il piano francese presentato ieri l’altro fa un gioco ardito: dando per scontato che lì lo Stato sociale protegga a sufficienza, punta sulla competitività delle imprese e sull’inserimento dei giovani nel lavoro, come fattori di fiducia.
In Italia occorrerebbe di più: dare il segno di una svolta rispetto a trent’anni di declino. Per ora sia la maggioranza sia l’opposizione paiono perlopiù pensare che siano arrivati i soldi per fare quello che volevano fare prima. E se invece si cominciasse a spendere di più per la sanità (grazie al Mes). Per l’università (come chiede Visco) magari pagando meglio chi insegna e chi cura (come suggerisce il vicepresidente Ue Frans Timmermans)?