Erri De Luca, la supremazia del libero arbitrio per la prima volta subisce un contenimento sociale, così come il capitalismo egoista è obbligato a un freno. Scorgiamo una disciplina nell’uso della nostra libertà. La rinuncia non è un patimento solo di chi è povero, e non sempre il più debole è l’unico a farne le spese.
Il coronavirus sta costruendo un mondo nuovo. Non sappiamo se il vaccino sarà questione di pochi mesi, io credo di no, ma quel che si scorge, o almeno si intuisce è un possente fenomeno carsico, un capovolgimento profondo delle urgenze sociali, e dunque un primato di diritti finora relegati a questioni secondarie, come appunto la tutela della salute anche nel lavoro che era tema per i ceti cosiddetti deboli, e per ciò stessi irrilevanti.
Si ammalano anche i ricchi.
E giunge al centro del dibattito collettivo il modo di stare al mondo, la supremazia di un diritto fondamentale. Il governo in questi mesi si è dovuto occupare delle persone, delle loro paure e dei loro bisogni. Una trasformazione radicale della gerarchia dei valori, delle incombenze, delle necessità cosiddette di Stato.
Questo coronavirus sembra danneggiare politicamente più la destra che la sinistra. È la destra, con la sua bandiera della forza suprema dell’individuo e anche del suo legittimo arbitrio, a fare i conti con regole alle quali è stata sempre allergica.
In autunno faremo, con le elezioni americane, il primo test. Ma è assolutamente evidente che la politica barbarica di Trump è risultata incapace a leggere persino questa nuova realtà, a intenderla minimamente.
Per la prima volta sembra che la sinistra sia più attrezzata a farvi fronte.
C’è un profilo nuovo, una vocazione nuova o almeno, non voglio farmi troppe illusioni, un’esigenza nuova che assilla la politica. Aspettiamo per esempio di vedere come il governo sosterrà i cinquecentomila precari che hanno perso il lavoro in questi mesi. Capiremo ancor meglio la direzione della sua rotta.
Grazie alla pandemia abbiamo scoperto che le scuole fanno schifo, che gli arredi sono vecchi, che l’istruzione è un investimento decisivo per la società.
E prima ancora che gli ospedali sono il perno della nostra civiltà. Abbiamo scoperto dettagli di vita quotidiana, la necessità di aiutare un nonno solo in casa, o trovare una baby sitter per i genitori al lavoro, abbiamo riconosciuto il valore indiscutibile della solidarietà. Finora la questione centrale era stata il mezzo punto del Pil. Bastava discostarsene di qualche decimale e avremmo conosciuto l’inferno. Abbiamo cambiato sceneggiatura, abbiamo scoperto che il mondo si è impoverito insieme a noi, ma che resta possibile rimanere vivi e persino ottimisti anche perdendo dieci punti di Pil. Anzi: se il governo ha guadagnato in reputazione è perché ha dovuto occuparsi della vita vera delle persone. Non è già questa una rivoluzione? Non è un fatto enorme?
Intanto vedremo nel voto di settembre.
Vedremo.
Al referendum cosa vota?
Sì, e anche convintamente.
Chi sostiene il No ribatte che è un modo per salvarsi l’anima. Il problema è la qualità della rappresentanza più che il numero degli eletti.
Intanto il numero. È un segno importante: si ha cura di ridurre un privilegio.
A lei il lockdown ha fatto bene o male?
Ho fatto le stesse cose. Ma con la mascherina.
Ha scritto.
Ho letto soprattutto. Voglio bene alla scrittura ed ella per fortuna mi ricambia.