Biennale, Venezia ha scelto i suoi (quattro) Leoni

Memoria Premi speciali agli ex-direttori artistici da poco scomparsi: Calvesi, Celant, Enwezor, Gregotti

 

di Stefano Bucci

Il progetto che sembra voler guidare (nell’idea del presidente Roberto Cicutto) la Biennale di Venezia del futuro (e del post Covid-19) è fatto di condivisione, di compartecipazione, di contaminazione (felice) tra tutte le discipline che oggi compongono l’«Universo-Biennale». E, dunque, tra arte, architettura, cinema, danza, musica, teatro.

L’annuncio del Cda della Biennale di attribuire a Maurizio Calvesi, Germano Celant, Okwui Enwezor e Vittorio Gregotti (quattro ex-direttori artistici del settore arti visive che non hanno mai avuto paura di oltrepassare «limiti e confini» già codificati) i Leoni d’Oro Speciali 2020 conferma questa idea. Al pari della scelta di consegnare questi Leoni speciali martedì primo settembre ai Giardini della Biennale, tre giorni dopo l’inaugurazione della mostra Le muse inquiete. La Biennale di Venezia di fronte alla storia, presentata nella ricorrenza dei 125 anni dalla fondazione dell’istituzione . Una mostra (aperta fino all’8 dicembre) curata per la prima volta da tutti i direttori dei sei settori artistici che hanno lavorato insieme per ripercorrere, attraverso le fonti uniche dell’Archivio storico/Asac e di altri archivi nazionali e internazionali, «i momenti in cui La Biennale e la storia del Novecento si sono intrecciate a Venezia». Ancora una volta nel segno della condivisione.

Spiega Cicutto che i premi a Calvesi, Celant, Enwezor, Gregotti vanno ai quattro ex direttori artistici del settore arti visive della Biennale di Venezia (scomparsi recentemente) che sono stati testimoni di momenti particolarmente significativi. «La riconoscibilità internazionale della Biennale si deve anche al lavoro e all’originalità dei suoi direttori artistici, che hanno segnato alcuni tra i cambiamenti più significativi della cultura contemporanea — si dice nella motivazione — . E la Biennale è stata il laboratorio dove Calvesi, Celant, Enwezor e Gregotti hanno espresso un pensiero critico originale e visionario che ha saputo guardare al futuro, spesso anticipandolo». E non a caso Le muse inquiete li vedono così tra i protagonisti di una mostra sulla storia dell’istituzione «che di fatto segna la partenza di un dialogo permanente fra le arti contemporanee nello spirito di una ricerca comune».

I quattro Leoni speciali 2020 (nel 2005 era stato già conferito un Leone alla memoria a Harald Szeemann, anche lui ex-direttore artistico delle Biennale del 1999 e del 2001) raccontano alcuni frammenti di una storia gloriosa.

Testimoni

Il presidente Cicutto: «Ognuno di loro è stato testimone di momenti significativi»

Quella rappresentata da Maurizio Calvesi (1927 – 2020) critico, storico dell’arte e accademico italiano, che tra il 1980 e il 1982 aveva fatto parte del consiglio direttivo e che nel 1984 e nel 1986 fu direttore del settore arti visive e curatore della 41ª e della 42ª Biennale. Quella di Germano Celant (1940-2020), modello irrepetibile di curatore-superstar, che nel 1997 era stato nominato direttore della 47ª Biennale ma che già nel 1976 Vittorio Gregotti, allora direttore del settore arti visive, aveva chiamato a pensare una mostra che riflettesse sul tema Ambiente / Arte (ennesima contaminazione) e che proprio con questo titolo fu realizzata al Padiglione Centrale dei Giardini (e che suscitò non poche polemiche).

O ancora quella della Biennale di Okwui Enwezor (1963 – 2019), primo direttore artistico di origine africana del settore (nel 2015, era la numero 56), capace di spaziare tra arte africana, europea, asiatica, nord e sudamericana del XX e XXI secolo, tra arte moderna e contemporanea, tra video, fotografia e archivi (sarà Enwezor a mettere in scena una lettura dal vivo di Das Kapital di Karl Marx).

E poi c’è la Biennale di Vittorio Gregotti (1927 – 2020), a cui Hashim Sarkis, curatore della Biennale di architettura 2020, poi slittata al 2021 a causa della pandemia, aveva reso omaggio immediatamente dopo la nomina (lo stesso titolo della Biennale di Sarkis parla di condivisione: How will we live together?). Fu proprio Gregotti (il suo «Leone» era nell’aria da tempo) nell’ambito del settore arti visive della Biennale di Venezia presieduta da Carlo Ripa di Meana (e di cui lo stesso Gregotti era stato direttore artistico dal 1974 al 1975) a introdurre l’architettura come disciplina «a sé stante», anche lui contravvenendo alle più tradizionali divisioni tra saperi.

 

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