Se è vero che “la civiltà ha attenuato la forza dei sentimenti”, la ribattezzata “guerra dei vulcani” assegnerà a isole, film, Stromboli (Terra di Dio) di Rossellini e Vulcano di Dieterle, e a cineasti la recrudescenza: tradimenti, anatemi, vendette sbattuti in faccia al mondo intero per interposto arcipelago, le Eolie, che grazie a quel conflitto prenderà domicilio nel jet-set e trarrà salvezza economica. “Sono sette isole, situate nel mar Tirreno, a nord della Sicilia, e una volta erano tutti vulcani. Ne è rimasto attivo solo uno, lo Stromboli. Ai piedi del vulcano, in una baia, sorge il paese. Qualche casa bianca, con i muri pieni di crepe a causa dei terremoti. Gli abitanti vivono di pesca e di quel poco che riescono a cavare dalla terra brulla”.
La guida turistica è ancora Rossellini, e per la Bergman ha in serbo “una ragazza lettone, così alta e bionda, in quell’isola di fuoco e cenere, tra i pescatori piccoli e bruni e le donne degli occhi splendenti, pallide e sciupate dalle gravidanze”. Per sciupare, sciupa anche l’amore, e se per Marisa Merlini “Anna ha amato Massimo Serato (attore, ndr), la follia della sua vita è stato lui”, con Rossellini sarà stato pure “un altro tipo di sentimento: ugualmente forte ma radicato soprattutto sull’importanza di Roberto”, comunque le fa perdere dodici chili quando lui le preferisce la Bergman: “La figura che mi ha fatto fare davanti a tutto il mondo!”. Vulcano avrebbe dovuto dirigerlo Rossellini, produzione Panaria film, “una storia ricavata da tutti quei fatti che avevamo sentito dai pescatori”.
Invece, rammenta il produttore principe-subacqueo Francesco Alliata, “il regista ci piantò e se ne andò in America con Ingrid, lasciandoci la Magnani feroce come una tigre”. Un po’ per cachet – siamo nel 1949 e prende 60 milioni di lire: fate i conti, un’enormità – un po’ per tigna, Anna va avanti, ex prostituta col foglio di via per finzione, amante mollata nella vita: “Ogni sera – registra il collega Rossano Brazzi – si metteva sulla punta dell’isola e mandava colorite maledizioni in direzione di Stromboli, dove l’idillio tra il suo uomo e la Bergman aveva avuto il proprio momento magico”.
Altri tempi, altri nomi, ben altre passioni: L’avventurosa storia del cinema italiano, quella che non è più, quella intercorsa tra il 1935 e il 1959, già sottratta da Goffredo Fofi e Franca Faldini alla sciatteria e piccineria del presente, e riconsegnata al mito. Rispolverata da Francesco Patierno nel documentario omonimo del 2012, la guerra dei vulcani converge in un campo di battaglia che più simbolico non si può: la tonnara di Oliveri, in provincia di Messina, dove i due film-fotocopia gettano la maschera e affilano le armi. “A girare la scena della tonnara, anche se per le altre scene stavano su due isole diverse (Vulcano in realtà a Salina, ndr), si sono trovate le due troupe insieme, perché la mattanza dura poco e dovevano girarla entrambe”, rammenta Jone Tuzi, che seguiva Dieterle.
Sono passati settant’anni dall’uscita in sala, nel 1950, di Vulcano e Stromboli (Terra di Dio): tra i due litiganti non godette nemmeno il terzo, che fosse il pubblico (box office gramo per entrambi) o la critica.
Rossellini recriminò come “molti si sono accaniti e per vari motivi. Tutti tendevano a dimostrare che ero un cretino”, e segnatamente “i critici ufficiali di sinistra, quelli che non avevano idee precise, i moralisti-giustizieri, i cronisti del pettegolezzo”. Vulcano lo precedette sul grande schermo, me non trovò gloria, anzi: “Alla prima – ancora Jone Tuzi – la Magnani si aspettava che tutti ne parlassero. Invece la mattina dopo c’erano sui giornali titoli enormi che annunciavano che la Bergman aveva partorito! Le bruciò anche la prima! Proprio sfortunata!”. Peggio: cornuta e mazziata.