raddoppiano i tempi
di Milena Gabanelli e Simona Ravizza
Arretrati da smaltire e regole sul distanziamento: Le attese, già lunghe prima dell’emergenza, cresceranno anche di due mesi, in assenza di provvedimenti mirati.
L’esplosione del Covid-19 ha colpito in modo differente le Regioni, ma la reazione è stata identica: sospensione delle attività sanitarie programmate, ricoveri solo nei casi di prestazioni urgenti per fare posto ai pazienti con il virus. Tradotto in numeri — secondo i calcoli del Centro di ricerca in economia e management in Sanità (Crems) dell’Università Carlo Cattaneo che stima per Dataroom anche di quanto potrebbero allungarsi le liste d’attesa in assenza di provvedimenti urgenti e mirati — sono saltati 12,5 milioni di esami diagnostici, 20,4 milioni di analisi del sangue, 13,9 visite specialistiche e oltre un milione di ricoveri.
Oggi, dopo quasi tre mesi bisogna rimettersi in pari, ma con condizioni che non sono più le stesse. Le misure di prevenzione obbligano al distanziamento tra i pazienti, separatori fisici, regolare sanificazione di ambienti, sedie, lettini, scrivanie, e rigida igiene delle mani. È il caso di sottolineare che quest’ultima pratica avrebbe dovuto essere rispettata anche prima. Per il mantenimento delle distanze s’impone l’uso della prenotazione: gli assembramenti in attesa del prelievo del sangue o della visita specialistica non sono più ammissibili. Continuano poi a essere presenti i reparti multispecialistici per i malati Covid-19 o posti letto isolati. Insomma, la riprogrammazione dell’attività comporta una diminuzione delle visite, della diagnostica e dei ricoveri. Immaginate una lunga fila al binario che da fine febbraio attende di salire sul treno a cui si aggiungono i passeggeri di oggi, e sul treno, che ha sempre 11 carrozze, si può occupare solo un posto a sedere su due. È inevitabile che la metà dei passeggeri dovrà rimandare quel viaggio che in molti casi gli può salvare la vita.
Il calo di esami e visiteIl Crems fa una proiezione nazionale dopo avere visto come saranno cadenzati gli appuntamenti nei prossimi mesi in tre ospedali modello di Milano e provincia. I risultati sono stati poi incrociati per un’ulteriore verifica con quanto sta accadendo in 40 ospedali a livello italiano monitorati in un network del ministero della Salute. Lo scenario che viene a configurarsi è pressoché identico. In un anno in Italia le visite cardiologiche sono 17,8 milioni, la previsione è che si riducano a 8,2 (-54%); le dermatologiche 6,4, ma possono scendere a 3,2 (-50%), le gastroenterologiche da 3,2 a 2 (-39%), le oculistiche da 10,7 a 8,3 (-23%), le ortopediche da 7,1 a 4,7 (-32%). La lista è lunga. Viene garantita, invece, pressoché al 100% l’attività oncologica. Per modo di dire, perché se continui a rimandare la gastroscopia, o la mammografia che potrebbe avere un esito oncologico, crescono i costi umani e sanitari. Per quel che riguarda i laboratori di analisi: i prelievi di sangue sono 90,8 milioni in un anno, e possono scendere a 46 milioni (-49%).
Gli esami diagnostici (Rx, Tac, Rm, scintigrafia, ecografia, EcG, gastroscopia, colonscopia, artroscopia, audiometria, ecc.), sono quasi 56 milioni: il crollo previsto è a 35 milioni (-37%). Tutto ciò vuol dire che — se facciamo una proiezione da qui a dicembre — rischiano di saltare complessivamente quasi 51 milioni di prestazioni sanitarie (10 milioni di esami diagnostici, 24 milioni di analisi di laboratorio, 16,9 milioni di visite specialistiche), ossia una su quattro.
Anche il privato in affannoCome ormai sappiamo, il sistema sanitario nazionale deve garantire una prestazione in 72 ore se urgente, entro 10 giorni se c’è il codice «breve», entro 30 giorni per una visita e 60 per un esame se è differibile, ed entro 180 se è programmata. In realtà, secondo i dati forniti da Altroconsumo, i tempi medi di attesa erano già prima più lunghi: 66 giorni per una visita dermatologica, 60 per gastroenterologia, 57 cardiologia, 49 urologia. I calcoli del Crems ci dicono che — sempre in assenza di provvedimenti mirati — la durata della lista di attesa d’ora in avanti sarà dai 3 ai 4,1 mesi. Di fatto il tempo necessario per ottenere una prestazione è destinato a raddoppiare.
Per gli esami radiologici, sempre usando i dati di Altroconsumo, si registrava un tempo medio di attesa di 42 giorni. Da ora in avanti salirà tra i 3,3 e 4,7 mesi. Di fatto, si triplica. Ci sarà certamente un’impennata di pazienti che si rivolgeranno all’attività privata, ma non basterà dissanguarsi per ottenere prestazioni in tempi rapidi. I luoghi delle prestazioni sono sempre gli stessi e le nuove regole di sicurezza non cambiano andando a pagamento.
I ricoveriCambiamenti importanti ci saranno anche per i ricoveri: il primo giorno di ammissione e l’ultimo va eseguito il monitoraggio anti Covid-19, e questo è destinato ad allungare la degenza. I letti nei reparti devono essere distanziati, dunque il loro numero diminuirà. In più continueranno a essere presenti i posti letto per pazienti con il virus. La conseguenza, tradotta in numeri dal Crems, è una riduzione di 641 mila ricoveri su 6,2 milioni l’anno (513 mila fino a dicembre). L’ impatto sulla salute si scoprirà nel tempo, mentre quello sulle casse degli ospedali è già calcolabile: meno 7,2 miliardi, che equivale a una contrazione del budget del 16%. In compenso dovranno sostenere costi maggiori, quelli per tamponi, dispositivi di protezione per personale e pazienti, smaltimento dei rifiuti speciali, quelli dovuti alla crescita del consumo di ossigeno, le spese per le sanificazioni e l’aumento dei lavaggi di lenzuola e camici. A ciò va sommata la voce di mancata produzione per ricoveri causata dalla comparsa di una patologia prima inesistente.
Che cosa bisogna fareLasciando le cose come stanno si prevedono ricadute catastrofiche. Un problema che riguarda tutti gli ospedali d’Europa, ma i nostri in particolare, dove la sanità pubblica è di fatto equiparata alla sanità privata accreditata. La differenza però è nota: la seconda sceglie le prestazioni più remunerative, mentre il pubblico si accolla tutto il resto, anche la zavorra dell’eccesso burocratico. Occorre allungare gli orari delle prestazioni, quindi assumere subito personale sanitario; fare investimenti mirati in telemedicina (se ne parla da anni, ma non si è mai fatto granché); potenziare la rete di assistenza sul territorio, dove il medico ti visita sul serio, evitando le prestazioni inutili, che allungano le liste d’attesa a danno di chi ne ha realmente bisogno. Non è automatico che tutte le prestazioni perse debbano essere recuperate, ma resta il fatto che bisogna pensarci ora, e le risorse non mancano. Tutti i soldi raccolti con le donazioni per il Servizio sanitario nazionale, che solo a fine aprile ammontavano a oltre mezzo miliardo, come le stanno utilizzando? L’articolo 99 del decreto Cura Italia obbliga a una puntuale rendicontazione, ma al momento sui siti delle Regioni si legge «in aggiornamento». Ci sono i 30 miliardi del Mes, un prestito senza interessi disponibili subito, basta chiederli, ma i partiti non si mettono d’accordo. Infine: il modello organizzativo. Per cambiarlo bisognerà individuare assessori, direttori sanitari e direttori generali con competenze sanitarie e manageriali dimostrate sul campo, e non per spartizioni politiche. Come è avvenuto finora in troppe Regioni, e che il Covid, ahimè, ha messo a nudo sulla pelle dei cittadini.