«Riaprire l’università, la didattica online è un modello antiquato»

Ottocentosettantasette docenti, e cinquecento online, hanno fin’ora sottoscritto una lettera-appello (si può aderire qui) al ministro dell’università Gaetano Manfredi in cui chiedono un piano organico e razionale per la riapertura dell’università già dal prossimo settembre, una mappatura degli spazi alternativi dove ricominciare a fare lezioni ed esami in presenza, un reclutamento straordinario capace di coprire le nuove esigenze della didattica e della ricerca, il finanziamento di servizi e un nuovo welfare studentesco.

La lettera promossa da Costanza Margiotta (Università di Padova), Emilio Santoro (Firenze), Enrica Rigo (Roma 3), Emanuele Conte (Roma 3), Alberto di Martino (Scuola Superiore Sant’Anna Pisa), Geminello Preterossi (Salerno), Anna Cavaliere (Salerno) segue quella intitolata «Priorità alla scuola» che ha già raccolto oltre 85 mila adesioni ed è stata la prima scintilla di un ampio movimento di genitori e insegnanti che chiedono un investimento straordinario e un ripensamento delle scuole di ogni ordine e grado a partire da settembre e per i prossimi anni. Welfare, istruzione, ricerca sono individuati come un terreno strategico per il conflitto e lo sviluppo di un paese travolto da una crisi sociale senza precedenti.

«Dapprima prevista fino al 18 marzo – si legge nella lettera – la chiusura si è protratta senza soluzione di continuità fino ad oggi. Si riapre la mobilità fra regioni, sono state assunte misure per la progressiva riapertura di fabbriche, uffici, esercizi commerciali, e anche dei luoghi di ritrovo e di socializzazione, ma nessuna misura relativa alla riapertura delle università.

Temiamo che l’istruzione superiore italiana conti meno delle vacanze in spiaggia, dell’aperitivo al bar, del giro al centro commerciale. La didattica online è un’idea molto arretrata, rischia di non essere altro che un vestito tecnologico del modello di apprendimento incentrato sul “trasferimento di conoscenze”. Le università possono educare al senso critico e a selezionare le informazioni. Devono provare l’impresa titanica di garantire, nell’epoca della rete, l’habeas mentem dei ragazzi che le frequentano».

Il governo ha esteso una no tax area fino a 500mila studenti, ha previsto l’assunzione di 4500 ricercatori e ha stanziato complessivamente 290 milioni di euro per l’università. Presentando il rapporto Almalaurea ieri al Miur il ministro Manfredi ha detto che sono previsti anche «40 milioni per borse di studio per tutti gli idonei meritevoli» e «20 milioni di euro in voucher agli studenti per l’acquisto di dispositivi e per coprire i costi di connessione a internet».

«No tax area e poche borse di studio non sono sufficienti – sostiene Emilio Santoro filosofo del diritto e tra i promotori dell’appello – A Firenze abbiamo tasse basse, ma il vero costo è l’affitto, una stanza può costare anche oltre 400 euro al mese. Serve una politica che sostenga la mobilità degli studenti, oltre che i servizi come le biblioteche aperte fino a mezzanotte. Uno dei motivi di paura di diffusione del virus è che i ragazzi vivono con i genitori e i nonni, invece dovrebbero essere aiutati ad uscire dalla famiglia e vivere l’università come si fa in tutta Europa. Non sono luddista, e sono convinto che il digital divide vada colmato per evitare discriminazioni, ma temo che si confermi il carattere emergenziale delle politiche e non si affrontino in maniera strutturale i problemi. Anche per questo dobbiamo pensare a un potenziamento enorme del corpo docente, un prof ogni venti studenti».

Dal rapporto Almalaurea ieri sono emerse le prime conseguenze del «lockdown»: si rischia di far precipitare nuovamente il numero degli iscritti negli atenei italiani. La crisi sociale avrà pesanti ripercussioni per il futuro lavorativo dei neolaureati: nei primi mesi del 2020 il tasso di occupazione, a un anno dalla laurea, è 65% tra i laureati di primo livello e 70,1% tra quelli di secondo livello: rispetto al 2019 sono calate del 9 e 1,6%

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