Soldato volontario sul fronte carsico durante la Grande guerra, Ungaretti scrive le sue strofe asciutte su pacchetti di sigarette, cartoline, carta di imballaggio delle cartucce. Parole distillate che se da una parte raccontano l’orrore, dall’altra mordono la speranza. È questa parabola umana e letteraria che, riprodotta in trepide interrogazioni sull’Ermetismo, ogni adolescente assorbe nelle sue lunghe mattinate di scuola. Proprio come accaduto a tre voci illustri della poesia contemporanea nati tra la fine degli anni 40 e l’inizio dei 50 – che offrono la loro testimonianza: Franco Buffoni, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis.
Buffoni ricorda: “A scuola, oltre alla triade Foscolo-Manzoni-Leopardi ci venivano inculcate, come formule chimiche, altre più recenti triadi: Carducci-Pascoli-D’Annunzio e una modernissima: Ungaretti-Montale-Saba. Ma centrale è rimasta la figura di Ungaretti, e il Meridiano a lui dedicato, a distanza di decenni, rimane il più venduto”. Gli fa eco Cucchi: “Ho incontrato da ragazzo la sua poesia e subito ho trovato decisiva la sua volontà iniziale di isolare la parola nel silenzio, nel bianco, per dare risalto alle potenzialità aperte, alle virtualità della parola stessa nel corpo del testo poetico. Ne ho ammirato poi la capacità di cercare ogni volta nuove strade espressive, in una continua ricerca inquieta di linguaggio e di forma”. De Angelis: “Ho scoperto Ungaretti come tanti di noi alle scuole medie. Ma non attraverso i celebri e stupendi versi di guerra. L’ho scoperto leggendo Giorno per giorno dedicato al figlio Antonietto e alla sua precocissima morte. Il poemetto fa parte della raccolta Il dolore, e questo dolore viene raccontato nel modo più asciutto, evitando ogni concessione al lamento e giungendo così al nucleo essenziale della sofferenza: sua e di tutti noi”.
Un uomo e un letterato, Ungaretti, che pur nato sul finire dell’800, ha saputo abbracciare la modernità come pochi altri. Dai caffè parigini delle avanguardie di inizio 900 in compagnia di Picasso e Apollinaire alla tv degli anni 60 frequentata con disinvoltura. Milioni di spettatori ricordano i suoi occhi ridotti a fessure e rivolti al cielo mentre alterna scoppi della sua voce roca a pause di silenzio o recita i suoi versi tra sussurri soffocati. Per essere un maestro riconosciuto della nostra poesia gli è stata sufficiente una produzione di versi in fondo non particolarmente nutrita. Ungaretti ha saputo amministrare la sua ispirazione in pochi volumi capaci di incidere con l’investitura di un classico in vita.
Aleggia un interrogativo in questa commemorazione e cioè che cosa resta della sua eredità a cinquant’anni dalla sua uscita di scena mentre Mondadori riporta in libreria Visioni di William Blake, volume di traduzione di Ungaretti dell’amato poeta inglese. Buffoni è secco: “La letteratura italiana dell’ultimo secolo credo abbia prodotto le sue opere migliori in poesia. E se devo insegnare a un adolescente di oggi che cosa siano stati i due conflitti mondiali del 900 gli offro in lettura Il porto sepolto di Ungaretti e Diario d’Algeria di Sereni. La poesia vince sempre sui tempi lunghi”. Cucchi non ha esitazioni: “Oggi ci parla come un classico, nella moralità alta, esemplare, della sua avventura espressiva, alla quale è necessario tornare spesso”. De Angelis batte su un tema caro: “Profondi sono i doni di Ungaretti a cui oggi siamo riconoscenti. Sempre a proposito del ‘dolore’ – sia quello personale di una perdita sia quello storico di una guerra – colpisce ogni volta la forza con cui Ungaretti sa rappresentarlo, una sorta di energia cosmica che lo getta nell’universo intero, spogliandolo da ogni contingenza privata e consentendo a tutti noi di farne parte”.