Firenze, una svolta, i suoi prezzi
di Paolo Ermini
Il Coronavirus ci ha fatto capire tante cose. La prima è che non si possono governare Paesi, regioni e città senza la lungimiranza della Politica. Quella con la P maiuscola, che è scomparsa dai nostri radar. Qualcuno sta tentando di farla riemergere in questi giorni, ma si impongono di più le prime riedizioni degli scontri sconclusionati della stagione pre-Covid.
La riflessione riguarda anche Firenze, dove il lockdown ha dimostrato come il centro fosse ormai asservito completamente al turismo di massa. Ma si è anche visto come per molti aspetti i propositi di cambiare strada, o almeno di correggere le storture più evidenti provocate dall‘invasione delle carovane, siano rimasti sulla carta. L’offensiva contro il mangificio è stata decisa dall’amministrazione Nardella quando la legge dei fast food (con il corollario delle gelaterie) aveva ormai travolto il tessuto commerciale del cuore della città. Così come la reazione all’anarchia degli affitti turistici è arrivata dopo che le abitazioni del centro erano già appannaggio di Airbnb e compagnia cantante. E così, con la fuga dei turisti, la pandemia ci ha offerto la visione scioccante di un centro storico silenzioso e deserto. Più morto che vivo. Anche di giorno.
In una intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera , il sindaco ha ribadito l’intenzione di rivoluzionare il modello attuale di sviluppo della città recuperando un turismo «più sostenibile». E ha aggiunto: «Il nuovo regolamento urbanistico riporterà le funzioni nel centro di Firenze, per cercare di liberarlo dalla schiavitù del turismo di massa e restituirlo ai residenti». Un programma davvero vasto. Che comporta alcune scelte davvero molto coraggiose. La prima è che la lotta alla rendita non può più essere simbolica (pur importante, come nel caso della farmacia di San Felice a rischio sfratto), diventando il filo conduttore di tutte le scelte urbanistiche. La seconda è che un modello di città si cambia solo se si trova un modello diverso, ben definito e realizzabile, altrimenti tutto finirà nell’almanacco del velleitarismo. La terza riflessione riguarda il panorama delle imprese fiorentine legate al turismo. Se — come dice anche il sindaco — Firenze non dovrà tornare a essere come prima, anche la rete commerciale dovrà cambiare e non poco. Questo non significa abbandonare al loro destino le attività che potrebbero solo contare sul replay del passato.
Andranno messe in atto altre forme di tutela sociale, con la consapevolezza che sostenere con profusione di fondi esercizi dipendenti da un tipo di turismo che si vuole abbandonare alla fine sarebbe inutile e dannoso per tutti.È qui che nasce l’esigenza concreta di una fioritura di idee capaci di disegnare il domani e, al tempo stesso, creare nuove opportunità di lavoro. Alla maniera dei nostri grandi maestri. E dei loro laboratori.