Chi di antimafia colpisce, di antimafia perisce. Potrebbe essere il titolo un po’ ironico di quella che Matteo Renzi definisce «una clamorosa vicenda giudiziaria che rischia di essere il più grave scandalo giudiziario degli ultimi anni». O, meno enfaticamente, una faida interna al Movimento 5 Stelle che vede per la prima volta rafforzarsi la fronda contraria al capo delegazione, Alfonso Bonafede, accusato di non aver contrastato il parere di alcuni boss mafiosi nella scelta del capo del Dap. A puntare il dito accusatore contro il Guardasigilli è nientemeno che un’icona della lotta alla mafia come il pm Nino Di Matteo, presidente dell’Associazione nazionale magistrati di Palermo, da decenni sotto scorta, da poco membro del Csm, da sempre guru dei grillini.
NEL GIUGNO 2018 «Bonafede mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o, in alternativa, quello di direttore generale degli affari penali. Chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta», racconta Di Matteo al giornalista Massimo Giletti durante la trasmissione Non è l’arena, su La7, rivelando che nel frattempo «il Gom aveva inviato alla procura nazionale antimafia e anche alla direzione del Dap, quindi credo fosse conosciuto anche dal ministro», un rapporto sulle reazioni agguerrite di «importantissimi capi mafia» contrari alla sua nomina. «Quando ritornai, avendo deciso di accettare il ruolo di capo Dap – continua Di Matteo – il ministro mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano pensato di nominare Basentini». Un’accusa gravissima. Che naturalmente ha sollevato le richieste di chiarimenti immediati e, da parte delle destre di opposizione, delle dimissioni di Bonafede. Il quale riesce solo a balbettare un laconico: «Sono esterrefatto. Dobbiamo distinguere quelli che sono i fatti dalle percezioni».
EPPURE IL MINISTRO di Giustizia sembrava essere appena riuscito a districare la matassa che gli si stava stringendo attorno al collo sulla questione penitenziaria, dopo che ad alcuni capi clan, ultrasettantenni e malandati di salute, ai quali rimaneva poco da scontare, nelle ultime settimane era stata concessa la detenzione domiciliare in modo da svuotare le carceri sovraffollate che rischiano ogni giorno di diventare focolai di Covid-19. Bonafede ce l’aveva messa tutta per accontentare i supporter del carcere duro. E dapprima aveva “commissariato” il capo del Dap Francesco Basentini – che obiettivamente ha dato prova di non saper gestire l’emergenza, con le rivolte, le morti dei detenuti rimaste nell’ombra, le violenze, ecc. – affiancandogli un ex pm dell’antimafia come Roberto Tartaglia, molto vicino a Di Matteo.
Poi, quando sabato scorso, in seguito alle critiche rivoltegli perfino dal giudice di Sorveglianza di Sassari e presidente di Md Riccardo De Vito, il discusso numero uno del Dap aveva gettato la spugna e si era dimesso, il Guardasigilli lo aveva subito sostituito con il procuratore generale di Reggio Calabria Dino Petralia, in precedenza di stanza a Sciacca e ex consigliere del Csm. Sempre antimafia, dunque.
MA AL PM della trattativa Stato-mafia, della strage Borsellino e di tante altre battaglie combattute sul fronte caldo, quest’ultima scelta non deve essere andata proprio a genio.
«E un regolamento di conti tra giustizialisti – sintetizza Renzi – Però sono membri delle istituzioni, quindi è un grave scontro istituzionale». A chiedere la testa di Bonafede hic et nunc sono la Lega e Fratelli d’Italia, ma il capo di Italia viva non esclude di appoggiare eventuali mozioni di sfiducia: «Se ci saranno vedremo e leggeremo, il punto è capire cosa è successo». La capogruppo in Senato di Forza Italia, Anna Maria Bernini, al momento si limita invece a chiedere al ministro «che venga immediatamente in Aula a chiarire quanto è successo». Una richiesta che non può essere ignorata neppure da Leu: «Il ministro venga a riferire e a spiegare al parlamento quali sono state le ragioni per le quali ha scelto Basentini piuttosto che Di Matteo», fa eco il capogruppo in Commissione Antimafia Erasmo Palazzotto puntualizzando però che la «scelta rimane legittima».
«Tutto questo è irreale. Devo essere sincera, non so più cosa pensare», è la reazione di Piera Aiello, deputata 5S della Commissione Antimafia e testimone di giustizia. Ma ufficialmente il M5S fa quadrato attorno al ministro: «Respingo con convinzione gli attacchi politici o le congetture prive di fondamento», scandisce Vito Crimi.
MA BONAFEDE può contare perfino sulla difesa del Partito Radicale che, certo, in questi anni non è stato tenero né con il ministro né con Basentini. «Li abbiamo persino denunciati presso tutte le procure d’Italia per epidemia colposa, in relazione alla gestione delle carceri in periodo di Coronavirus», dichiara il segretario Maurizio Turco. Ma ora che «Bonafede è sotto il fuoco incrociato per Lesa Maestà del Dottor Di Matteo» per un gesto che si potrebbe configurare al massimo «di maleducazione», la direzione del partito si augura che questa sia per il Guardasigilli «l’occasione di rivedere le sue politiche sulla giustizia e sul carcere con l’occhio antimafista, e si faccia guidare dalla Costituzione».