Interventi come la cassa integrazione o i vari bonus da 600 euro, hanno in realtà permesso alle persone di sopravvivere. Per Bonomi però servono altre misure: “Sbloccare le opere pubbliche già finanziate, incentivi all’industria 4.0 e il pagamento dei debiti alle imprese” nella forma di credito di imposta.
Scompare la lunga lista di provvedimenti già presi per tutelare e garantire le imprese italiane. Il lockdown del 23 marzo ha lasciato al lavoro circa 10 milioni di lavoratori che, con le 200 mila deroghe dei giorni successivi e la fase 2 iniziata ieri, ha garantito un’attività che, come dimostra uno studio Inps, ha contribuito ad alimentare i contagi. Le aziende sono rimaste aperte anche in zone disastrate come la Val Seriana nel Bergamasco e il protocollo sulla sicurezza siglato con i sindacati non prevede sanzioni in caso di violazioni.
Il governo ha certamente tutelato le categorie deboli – non tutte e con mancanze che, forse, saranno sanate dal secondo decreto –, ma alle imprese non ha fatto mancare nulla. Ha sospeso di fatto qualsiasi prelievo fiscale, con misure ad hoc in tema di contratti, di redazione del bilancio, di finanziamenti. Ha garantito la rinomata “liquidità” già con il “Cura Italia”, poi con il decreto omonimo e ancora altro farà con il decreto in gestazione. In cui, soprattutto, è prevista la ricapitalizzazione di Cassa Depositi e Prestiti per poter garantire finanziamenti societari alle imprese che dovessero non farcela, ma hanno comunque una prospettiva. Ieri, il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, in un’audizione parlamentare, molto apprezzata da tutti i gruppi, ha elencato una serie di interventi tra cui i “contributi a fondo perduto e sostegno al capitale”, ma anche il ristoro al 100% per gli affitti commerciali per tre mesi (valore stimato in 1,7 miliardi) e il ripristino dell’industria 4.0 oltre al pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. Praticamente tutte le richieste di Bonomi.
Patuanelli ha diffuso anche i dati del Mediocredito centrale secondo cui le domande di liquidità arrivate al 30 aprile sono state 65.800, di cui 31.411 accolte generando “un importo di 4,6 miliardi di finanziamenti”. Bonomi dice che i fondi alle imprese non sono arrivati, ma sa bene che esistono delle responsabilità precise delle banche (non a caso ha lanciato diverse punzecchiate in passato all’ad di Intesa Carlo Messina).
Il punto è che Confindustria sta già pensando alla fase 3 e a come gestire l’enorme intervento pubblico che si annuncia per dirottare verso le imprese quanti più fondi possibili.
Ma ha anche un altro obiettivo: giocare d’anticipo sul fronte delle relazioni sindacali. “Inizia la stagione dei doveri e dei sacrifici”, ha detto ieri Bonomi e la sua proposta di derogare sui contratti di lavoro è già un avviso. Non a caso la “mite” Annamaria Furlan, segretaria della Cisl, ha replicato che “non è tempo di conflitti”. Facite ’a faccia feroce, diceva quel motto. Alla nuova Confindustria viene benissimo.