Divieti e diritti
di Paolo Ermini
Tanta fatica per poco, se non per nulla. La Toscana ha qualche buona ragione per dichiararsi delusa dal discorso con cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha illustrato la fase 2 dell’emergenza virus.
Non si tratta di gonfiare il petto di una regione più efficiente di altre. Il problema è che tutti gli sforzi fatti nelle settimane scorse per accelerare i tempi, sia sul piano sanitario che su quello della ripresa economica, non sembrano aver trovato il minimo riscontro nelle decisioni del governo. Eravamo riusciti a prendere con decisione, sollecitati dal professor Sergio Romagnani, la strada dei test sierologici per contare su uno zoccolo certo di immuni in grado di rientrare al lavoro e nella vita sociale senza pericoli per se stessi e per gli altri e Conte ai test sierologici neppure ha dedicato un cenno; avevamo assistito alle trattative fra il governatore Rossi e le imprese per riaprire prima possibile le fabbriche garantendo la sicurezza dei dipendenti e l’agenda delle riaperture fissata da Palazzo Chigi non è cambiata di una virgola, mentre oltre 4 mila aziende toscane hanno presentato il piano per accendere i motori con tutti i requisiti previsti.
Sia chiaro, ha fatto bene il governo ad avocare a sé tutte le divisioni sulla nuova fase evitando che il Paese, con l’anarchia delle scelte, diventasse il vestito di Arlecchino. Ma un conto è una regia unica, utile a modulare soluzioni diverse in un disegno complessivo e armonico, e un conto è passare con un colpo di cimosa sulle differenze tra le varie realtà regionali e imporre a tutti il solito schema.
Questa volta Conte ha riscosso molte critiche con la sua apparizione in tv nell’ora fatidica dei tg. In più punti è apparso evasivo. Poche parole, quasi d’obbligo, sulla riapertura delle scuole, rinviata a settembre (e speriamo che non scivoli ulteriormente); nessuna soluzione concreta per i disagi di coloro (donne soprattutto) che devono tornare al lavoro senza sapere su chi contare per affidare i figli piccoli; solo rassicurazioni generiche a chi vive di commercio e turismo, due pilastri della Toscana.
Ma a colpire di più è stata la parte del discorso dedicata alle nuove limitazioni delle libertà personali sancite dalla Costituzione. Il presidente del Consiglio ha di nuovo detto no alla celebrazione delle messe.
Anima non mente. neppure l’anima di Siena. Ci voleva un contradaiolo semplice, anche se assai stimato e con un ruolo sociale preciso, per farla riemergere di prepotenza, al di là dei giochi di diplomazia, delle attese di convenienza, della tentazione di ricorrere allo scaricabarile per non prendersi sulle spalle il peso di una decisione ritenuta impopolare. Lui, Vincenzo Bencini, del Bruco, ha rotto gli indugi e ha scritto una lettera. Al sindaco, alle Contrade, a tutta la città. Il Palio è una Festa, una festa di popolo —ha scritto in sintesi— e se vogliamo veramente bene alla nostra festa dobbiamo riconoscere che in una situazione di proibizioni e di distanze obbligate celebrarla sarebbe negarne la natura. Una forzatura contraria allo spirito contradaiolo. E ai suoi riti fatti anche di passione e abbracci. Ma nella lettera, la richiesta di rinvio ha una motivazione anche più profonda: in queste settimane tanti senesi sono in difficoltà per il blocco imposto dalla pandemia; allora perché non rinunciare per un anno al Palio e dare i soldi necessari a svolgere le due carriere a chi ne ha bisogno?
Siena è il Palio, certo. Ma il Palio non è solo quei tre giri di Piazza. Quella corsa all’impazzata non ci sarebbe più da tempo se il Palio non fosse anche la vita di ogni giorno. Con i suoi affanni, qualche volta. Dalle discese del Bruco un senese lo ha ricordato a tutti.