Non illudiamoci: non andrà tutto bene. Ora che si incomincia a vedere una luce in fondo al tunnel dell’emergenza coronavirus lo possiamo ammettere.
Non sarà facile far andare tutto bene: intanto perché già prima non andava così bene come ci piace pensare adesso; ma soprattutto perché il rallentamento delle attività, il blocco di interi settori e della vita che li animava, la decrescita imposta e subìta a causa della pandemia avranno effetti drammatici per molti di noi e per tante famiglie. Occorrerà prepararsi. E pensare al “prima” può aiutare a programmare meglio il “dopo”.
Prima che il coronavirus arrivasse a sconvolgere le nostre vite la grande questione globale era rappresentata – e continua a esserlo – dall’emergenza climatica. Per anni ci siamo interrogati su come diminuire i consumi di petrolio, limitare le emissioni prodotte dalla combustione di fonti fossili, ridurre i trasporti, il traffico aereo e marittimo, le auto in città, le crociere, l’iperturismo… In una parola: come contenere gli eccessi della società dei consumi. Per la nostra salute e per quella del pianeta.
Nel giro di poche settimane un virus è riuscito in ciò che all’umanità sembrava impossibile, ma ha richiesto un sacrificio pesantissimo in termini di vite umane e non cessa di esigere condizioni inaccettabili. In breve tempo però ci siamo resi conto del perché era così complicato non solo fermare tutto, ma anche rallentare un po’: costa. Costa tanto.
Se si viaggia meno, se si esce meno, se si comprano meno auto o vestiti, migliaia di persone smettono di lavorare. E presto incominciano a patire la fame. È quanto sta accadendo in Italia e nel mondo. Il sistema consumistico sul quale ha posto le basi la società contemporanea per garantirsi il benessere è all’origine di molte distorsioni sociali e ambientali. È evidente che va corretto.
La lezione che stiamo imparando in questa emergenza è però duplice: quel modello ci sta distruggendo, ma uscirne, come accade per ogni dipendenza, può fare molto male. Per questo tutte le energie del mondo – non solo di qualche governo o di qualche regione (Europa inclusa) in ordine sparso – andrebbero concentrate in una sola direzione: come ripartire al più presto, come farlo in sicurezza, e come farlo senza commettere gli errori di prima. Anche questo è solidarietà: restare fermi troppo a lungo, smettere di pedalare, farà cadere molti.
Il virus sembra però dirci un’altra cosa fondamentale: la “responsabilità”, quando è imposta, diventa totalitarismo. La società del numero chiuso rischia di essere oppressiva. Il Sars-CoV-2 sembra il prodotto di laboratorio di un progetto di dittatura che stravolge gli ideali umanitari e ambientalisti per privare le persone di diritti e libertà, imporre un controllo, realizzare progetti eugenetici e di selezione. È esattamente contro il rischio di questa deriva individualista nello sguardo sul Creato che oggi si può rileggere il grande messaggio di libertà che papa Francesco ha scolpito nella Laudato si’ parlando invece di «conversione ecologica» nel segno della «solidarietà universale» e pensando al bene dell’intera «famiglia umana».
Nella pandemia stiamo testando in prima persona cosa significhi essere una comunità solidale e responsabile. È importante farne tesoro: la consapevolezza di questo valore tornerà utilissima quando sarà il momento di ripartire sul serio ed è quello che ci permetterà di farlo nel migliore dei modi. Solo così potrà andare tutto bene, e forse meglio.