INTERVISTA ALLA SINDACA DI TORINO
Le città dovranno essere il motore della ripartenza del Paese. Saranno un grande laboratorio: della tenuta sociale, del nuovo modo di vivere insieme, della gestione e fruizione degli spazi, del lavoro sicuro. Ma dovranno essere in grado di adottare manovre espansive: immettere risorse nel sistema, fare da traino». Nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Civico Chiara Appendino, insieme con Marco Pironti, il professore universitario cui ha affidato le deleghe all’Innovazione, sta tirando le somme della piattaforma allestita dal Comune per erogare i buoni spesa del governo. «In una settimana abbiamo raccolto le domande, domani (oggi, ndr) avremo erogato tutte le risorse, 4,2 milioni, a quasi 12 mila famiglie», spiega Pironti. Torino è stata tra le città più rapide. Ha scelto di usare uno strumento di emergenza anche per testare la salute socio-economica della città. E prepararsi al dopo. Come sta Torino, sindaca? «Sta dimostrando una reazione straordinaria, ne ero certa. E anche una grande reattività. Per erogare i buoni spesa avevamo messo a disposizione un canale telematico e uno tradizionale: il 75% ha scelto i sistemi digitali. Sappiamo chi li ha chiesti, in quale quartiere vive e dove li sta spendendo. Era importante essere tempestivi, arrivare prima di Pasqua. Ma era importante anche capire in modo aggregato cosa succede nel tessuto sociale di Torino». E che cosa succede? «Emerge una nuova mappa delle fragilità, ma anche delle competenze e delle reti solidali che di fatto costituisce l’inizio della revisione del sistema di Welfare. Abbiamo intercettato un pezzo di città che sfuggiva a tutti, che oggi chiede aiuto per l’emergenza ma andrà accompagnata anche domani. Il dopo non potrà non tenerne conto». Chi sono i bisognosi di oggi? «Non percepiscono il reddito di cittadinanza né altre forme di sostegno tradizionali. Eppure il loro reddito non basta per soddisfare le esigenze primarie. Questa fascia si amplierà in modo significativo; vecchi requisiti come l’Isee non basteranno più. Servirà un sistema nuovo con criteri nuovi». Quali? «La graduale ripartenza andrà di pari passo con l’emergenza economica. Serviranno strumenti corretti: piani e risorse per rilanciare le nostre filiere industriali, investimenti su infrastrutture e manutenzioni del territorio. Ma la grande sfida sarà ridisegnare il Welfare. Ci sarà bisogno di più risorse, questo è certo: con le attuali non sapremo rispondere alle povertà emergenti. Lo stesso reddito di cittadinanza andrà potenziato e ripensato. E le città dovranno saper sostenere economicamente, valorizzare e coordinare il Welfare di comunità, quella rete di associazioni e terzo settore che ci sta sostenendo nell’emergenza ed è in grado di arrivare capillarmente sul territorio anche là dove il pubblico non arriva. A Torino è un patrimonio che ci affiancherà anche nel post emergenza». Quando si ripartirà? «Lo deciderà il governo. Oltre al “quando” sarà essenziale il “come”. Io vedo tre pilastri: i grandi progetti strategici e le infrastrutture, come la nostra linea 2 di metrò, la tenuta sociale e il sostegno all’economia. Vincerà chi uscirà meglio oltre che prima: non bisogna lasciar fallire chi sta scontando questa fase ma ha tutte le carte per essere competitivo». Cosa la preoccupa? «Bisognerà occuparsi della tenuta sociale e psicologica della nostra comunità perché la “fase 2” sarà lenta e lunga. Dovremo essere bravi a ripensare gli spazi pubblici e la socialità, ma anche la mobilità. Probabilmente tante persone penseranno sia più sicuro usare i mezzi privati; il nostro compito sarà incentivare quelli più sostenibili ed economici con nuove infrastrutture e servizi. Dovremo poi difendere e rilanciare alcune vocazioni, penso a cultura e turismo, sostenere le filiere che alimentano grandi e piccoli eventi che oggi non possono tenersi. E rilanciare l’immagine del territorio: in questo senso confido che il passaggio del testimone delle Atp Finals da Londra a Torino, a novembre, possa essere un’importante vetrina internazionale da cogliere». Quale ruolo avranno le città? «Dovranno essere i pilastri della ripresa. Con il governo è in corso un confronto su interventi che permettano ai comuni di continuare a garantire i servizi essenziali. Ma non è tutto. Il pubblico dovrà essere il motore, il soggetto che immette risorse. Non, come avvenuto in passato, il primo che taglia».