di Andrea Riccardi
Assieme a 15 vite umane, il terrorismo spietato dei talebani ha rubato ai cattolici e protestanti pachistani pure la domenica con il terribile attentato di ieri a due chiese del quartiere cristiano di Lahore. Nella preghiera i fedeli sono sempre disarmati e fiduciosi in Dio: per questo l’Islam ha in genere rispetto per la preghiera. L’attentato di ieri mostra l’impazzimento totalitario degli islamisti: un atto vigliacco contro un popolo inerme, anche di donne, bambini, anziani. Che male hanno fatto le famiglie cristiane per meritarsi la morte?
Almeno finora, nonostante i rischi, i cristiani si erano sentiti liberi durante il culto domenicale. Una consolazione in una vita quotidiana che li umilia per la loro fede e la loro povertà. Perché li hanno uccisi? I due attentatori suicidi apparten-gono a Jamaat ul Ahrar, una scheggia del movimento talebano. Nel groviglio di motivazioni ideologiche e criminali dei terroristi, uccidere i cristiani è un modo (vile) di mostrare la propria forza. C’è chi si suicide per questo scopo. A tanto è arrivata la follia di alcuni musulmani. Le autorità islamiche in Pakistan e altrove hanno il grave compito di condurre una profonda bonifica delle menti dei correligionari.
Il mondo musulmano è però complicato. Era un seguace dell’Islam, infatti, anche il poliziotto che ieri ha fatto da scudo ai cristiani, evitando una strage ancora peggiore e spingendo l’attentatore al di fuori di una delle due chiese. I due musulmani sono esplosi insieme: con motivazioni tanto diverse!
Papa Francesco ha gridato: «La persecuzione finisca!». È un grido ai musulmani, perché difendano i compatrioti cristiani e educhino i giovani al rispetto degli altri. È un grido che chiede a tutti di non essere distratti, anche se da fuori del Pakistan non si può fare molto.
I quattro milioni di cristiani pachistani sono un facile bersaglio. Rappresentano, per lo più, un gruppo marginalizzato, povero e con poca istruzione. Lo si vede andando nel quartiere, alla periferia di Lahore, dove sono avvenuti gli attentati di ieri, Youhanabad (la città di San Giovanni). Qui si sono concentrati circa 100.000 tra cattolici e protestanti alla ricerca di maggiore sicurezza.
La vita dei cristiani in Pakistan è sempre sotto minaccia: qualcosa di terribile può accadere loro da un momento all’altro. Come l’accusa di blasfemia verso l’Islam. Qualche mese fa due coniugi cristiani sono stati arsi vivi in una fornace per questo motivo. All’inizio di marzo, una folla musulmana inferocita ha bruciato a Lahore 178 case di «infedeli». Spesso il movente è occasionale. Non solo terrorismo, ma un’animosità che cova sotto la cenere e nell’ignoranza. Questo è il terreno su cui speculano agitatori, radicali e terroristi. È invece un mondo che i leader musulmani devono bonificare.
La sfida per i cristiani è l’istruzione, che li faccia uscire dalla povertà e li renda capaci di lottare per l’uguaglianza. Era la sfida raccolta da un ragazzo di dieci anni, Abish, alunno della Scuola della Pace. Purtroppo la vita di questo innocente è stata stroncata nell’attentato di ieri. Quella dell’uguaglianza tra i cittadini di ogni fede era anche la battaglia del cattolico Shahbaz Bhatti, ministro per le Minoranze, ucciso nel 2011.
La vita dei fedeli cristiani in Pakistan è dura, piena di ricordi tristi, dolori, ma anche attese per i loro figli. La domenica, però, è per loro sempre un giorno di festa e speranza. I canti melodiosi e gli abiti tradizionali delle donne danno un tono particolare alle celebrazioni cattoliche e protestanti. Con l’attacco di ieri, i terroristi dimostrano di voler rubare anche la domenica. Dopo tante violenze, questa è l’ultima: all’anima di una comunità. Andare in chiesa continuerà a essere una scelta di coraggio e una protesta contro l’odio.