di David Brooks
Molti di quelli che commettono stragi oggigiorno scrivono manifesti. Non uccidono soltanto perché sono psicologicamente danneggiati da un trauma. Sono ispirati a uccidere da un’ideologia comune,che sperano di diffondere sull’onda del terrore. L’espressione più evidente di questa ideologia è stata scritta dall’uomo accusato della carneficina di Christchurch, in Nuova Zelanda. Il suo manifesto è stato citato da altri terroristi: l’uomo accusato della sparatoria di El Paso dello scorso weekend lo menziona nel suo. Non è interamente come ci si aspetterebbe. L’autore scrive dei suoi viaggi intorno al mondo: «Dovunque sono andato, tranne pochissime eccezioni, sono stato trattato splendidamente, spesso come un ospite e perfino come un amico. Le varie culture del mondo mi hanno accolto con calore e compassione e ho apprezzato moltissimo quasi ogni momento che ho trascorso con loro».
L’ideologia che professa è marcatamente razziale, ma non è la classica xenofobia o il classico suprematismo bianco. La prima caratteristica è l’essenzialismo: la cosa più importante che puoi sapere di una persona è la sua razza; un bianco vede il mondo come un bianco e un ispanico lo vede come un ispanico; l’identità è razziale.
La seconda caratteristica è il separatismo: le razze sono sane quando sono pure e non annacquate. Il mondo è malato quando le razze si mescolano. «Sono contro la mescolanza razziale perché distrugge la diversità genetica e crea problemi di identità», scrive il terrorista di El Paso.
La terza caratteristica è il darwinismo razziale. Le razze sono impegnate in una lotta darwiniana per cercare di sovrastare numericamente le loro rivali. In questo momento la razza nera e quella bruna sono più forti della razza bianca e si apprestano a cancellarla invadendola.
Se li lasciamo entrare nel Paese, gli immigrati con la pelle bruna sommergeranno i bianchi, proprio come gli europei sommersero i nativi americani secoli fa. Per usare le parole del terrorista di El Paso: «I nativi non presero sul serio l’invasione degli europei e ora quello che resta di loro è solo un’ombra di ciò che era». L’immigrazione è genocidio dei bianchi.
Questa non è un’ideologia che nasce da un sentimento di fiducia e sicurezza dei bianchi: al contrario, nasce da un senso di insicurezza dei bianchi.
Questa ideologia è una forma estrema di un movimento più ampio, l’antipluralismo, che oggi assume molte forme: nazionalisti trumpiani, populisti autoritari e jihadisti islamici sono versioni differenti dell’antipluralismo.
Gli antipluralisti bramano un ritorno a confini chiari, verità stabilite e identità stabili. Uccidono in nome di una fantasia, un mondo che risplende nella loro immaginazione ma che nella vita reale non è mai esistito.
Noi pluralisti non crediamo che gli esseri umani possano essere ridotti a un’unica etichetta razziale. La ricchezza della nostra vita è data dal fatto che ciascuno di noi contiene una moltitudine di sé. Abbiamo a cuore proprio quel genere di integrazione che scatena attacchi di panico negli antipluralisti. Mezzo secolo fa erano pochissimi i matrimoni interraziali: oggi rappresentano il 17 per cento del totale.
I pluralisti espandono costantemente la definizione di «noi», invece di limitarla. Una cultura pura è una cultura morta, mentre una cultura amalgamata è una cultura creativa. La stessa civiltà che i separatisti bianchi cercano di preservare è a sua volta il prodotto di precedenti ondate migratorie. Pluralismo è uscire ed entrare reciprocamente nelle vite degli altri.
I terroristi sognano un mondo puro, statico. Ma l’unica cosa che è statica è la morte, ed è per questo che sono così patologicamente attratti dalla morte. La lotta che abbiamo davanti non è solo una questione di misure per il controllo delle armi e interventi per guarire la psiche danneggiata di certi individui, è anche una questione di valori contrapposti. Il pluralismo prospera quando diamo un nome a quello che i terroristi odiano di noi, e lo viviamo concretamente.