di Fiorenza Sarzanini
È straziante vedere il viso stravolto di Rosa Maria mentre arriva al funerale del suo amato Mario. E poi ascoltarla quando dal pulpito della chiesa di Somma Vesuviana invoca l’angelo che piange e rinnova la promessa di matrimonio. Ma soprattutto rivendica con orgoglio di essere «la moglie di un carabiniere». Solo un equo processo individuerà ruoli e responsabilità dei due giovani statunitensi in cerca di sballo nella notte romana, accusati di aver aggredito e accoltellato il vicebrigadiere. E di averlo ammazzato come un cane. Deve essere fatta giustizia. E per questo non si deve invalidare alcun atto fino alla sentenza definitiva. Rosa Maria dovrà avere la garanzia di vivere in uno Stato dove gli assassini del marito vengano puniti come meritano. Senza rischiare che, pur riconosciuti colpevoli, riescano a farla franca. Ecco perché è importante rispettare la legge, osservare tutte le regole. Tenere sempre a mente che uno dei principi cardine della nostra democrazia è il rispetto della dignità umana. E dunque non sottovalutare il comportamento del sottufficiale che ha bendato Gabriel Christian Natale Hjorth, l’ha costretto a tenere le braccia dietro la schiena con i polsi stretti dalle manette.
I vertici dell’Arma dei carabinieri hanno compreso subito quanto grave sia stata la sua decisione. E oltre a prendere immediati provvedimenti disciplinari, hanno presentato una denuncia alla Procura di Roma per abuso dei mezzi di costrizione. L’umiliazione inflitta a Gabriel Christian Natale Hjorth in quella stanza di una caserma, viola infatti la legge e rischia di gettare ombre sull’intera indagine. Agli iniziali dubbi sulla ricostruzione di quanto avvenuto la notte tra il 25 e il 26 luglio, si è infatti aggiunta la polemica per quella foto che ha fatto il giro del mondo, alimentando anche negli Stati Uniti le accuse contro gli investigatori italiani. E rendendo concreto il rischio di inficiare il loro lavoro e dunque l’esito di questa inchiesta.
La ricerca della verità non può e non deve mai far venire meno il rispetto delle regole. Anzi, più complesso è il percorso per arrivare al risultato, più rigorosi devono essere gli accertamenti. Senza giustificazioni di sorta per chi sbaglia. Il sottufficiale è stato trasferito ad altro incarico — non operativo — su disposizione del comandante generale Giovanni Nistri. Una decisione che — alla luce di quanto accaduto in passato in altri casi — fa onore all’Arma e spinge lo stesso Nistri a chiedere «rispetto per i carabinieri che fanno lo stesso lavoro di Mario», a mettere in guardia tutti «per non infliggergli la dodicesima coltellata».
Servirà poco tempo alla procura generale di Roma per individuare gli altri militari presenti nell’ufficio, che hanno consentito l’abuso e non lo hanno denunciato. La celerità in questi casi è necessaria. Ma è altrettanto necessario porre fine alla contrapposizione aspra che da due giorni accende il dibattito politico e scatena i commenti sui social. Nelle ultime ore si è arrivati a mettere sullo stesso piano il carabiniere ammazzato e l’indagato con la benda sugli occhi, invitando i cittadini a scegliere da che parte stare.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha chiarito che a lui interessa soltanto «la vittima, un servitore dello Stato». Il capo politico del Movimento 5 Stelle, e suo alleato alla guida del governo, ha addirittura sostenuto che parlare della foto «serve a buttarla in caciara», cioè a fare confusione per distrarre dal vero problema. Altri politici dell’opposizione si sono concentrati soltanto sull’episodio della caserma per attaccare il governo.
In realtà parlare della foto serve a denunciare un abuso e dunque a dimostrare che l’Italia è un Paese dove i diritti di tutti, anche di chi è in custodia, sono garantiti. Serve ad evitare che gli indagati possano denunciare un «ingiusto processo». Serve, per garantire a Rosa Maria Esilio che lo Stato per cui suo marito ha perso la vita, troverà i colpevoli dell’omicidio e li punirà secondo la legge.