cercandola titina
Franco Camarlinghi
«Io cerco la Titina, la cerco e non la trovo. Chissà dove sarà». La canzone, resa famosa universalmente da Charlie Chaplin in Tempi moderni , si adatta bene allo stato d’animo di un elettore contrario a Salvini e Di Maio. La Titina che cerca, per un’alternativa al populismo, è in sostanza una classe dirigente in grado di offrirgli analisi e progetti per una battaglia in cui possa ragionevolmente sperare. Purtroppo, non la trova, sia che si tratti dell’Italia, sia che volga lo sguardo a Firenze e alla Toscana. Naturalmente la questione riguarda soprattutto il Pd e ciò che resta della sua classe dirigente. Il nostro elettore vede un immarcescibile Matteo Renzi che, onusto di un passato di qualche gloria e di drammatiche sconfitte, non ne vuol sapere di spiegare perché è passato dal quaranta per cento del 2014 al diciotto del 4 Marzo. Così, aspetta inquieto la prossima Leopolda, nel timore di ritrovarsi con le solite slide e gli stessi happening à la page . Legge che la fu potente ministra delle riforme, Maria Elena Boschi, passata dallo scranno più alto al collegio di Bolzano, finalmente ha ritrovato il gusto del tempo libero (immaginatevi gli oppositori di un altro tempo, mettiamo Togliatti o Almirante che, fra una sconfitta parlamentare e un’altra, se ne andassero al mare o in montagna). Tanto per dire… dopo di ché l’elettore in questione si aspetterebbe che vecchi e nuovi protagonisti di un partito che ha a lungo guidato il Paese fossero capaci di fare una vera opposizione, di presentarsi come un governo ombra. Neanche a parlarne, al massimo si può assistere ad una lotta fra fazioni avverse, in vista di un congresso che somiglia tanto al Godot di Beckett. Per certi aspetti, i dirigenti del Pd danno l’impressione che, perso il potere, non sappiano più che fare, se non rilassarsi. Non esageriamo: ci sono sempre Martina o il rampante Zingaretti che si dedicano alla ripresa dei rapporti con i deboli, con il primo che gira da una periferia all’altra alla rincorsa dei voti persi, mentre via via crescono i sondaggi per i populisti e diminuiscono i suoi. Un partito riformista non può ritenere che ci sia una frattura fra l’indispensabile attenzione per chi ha più bisogno e l’esigenza di accrescere la ricchezza per l’intero sistema, senza di che da distribuire rimarrebbe solo la povertà: per questo ci sono già i 5 Stelle. Non meno inquietante (per il Pd, naturalmente) è ciò che avviene in Toscana e a Firenze. I protagonisti sono ormai quelli della Lega che nella Regione e nel suo capoluogo vedono vicina una sorta di disfida di Barletta, decisiva anche sul piano nazionale. Il centro-sinistra, che ha dominato per decenni, sembra ormai lo sfidante di una battaglia più da perdere che da vincere, tanto che il sindaco di Firenze propone un fronte civico contro i barbari alle porte. Un partito che ha governato per decenni una città e che possa rivendicare risultati concreti, oppure che sia in grado di analizzare i limiti, le contraddizioni o gli stessi insuccessi della propria azione, ha davvero l’esigenza di dare l’impressione di essere così perdente da ipotizzare un fronte di salvezza comune? Sul momento la Titina l’elettore di sinistra non sa davvero dove sia.