CONTE: «LA PACE FISCALE SI FARÀ».

INTERVISTA CON IL PREMIER

• «Provvedimento imprescindibile» • «Fiat tax, Fornero e reddito di cittadinanza: vareremo tutto per gradi • «Autostrade pagherà il ponte, non lo ricostruirà» • «Ho condiviso ogni decisione di Salvini sull’immigrazione» • «Non siamo razzisti ma orgogliosamente populisti»
«La pace fiscale si farà: è imprescindibile. Così come, con gradualità, attueremo fiat tax, reddito di cittadinanza e riforma della Fornero». Il premier Giuseppe Conte parla a tutto campo con La Verità, ribadisce le politiche sull’immigrazione e si dice «orgogliosamente populista». allepagine2e3 • Presidente Conte, cosa ci sarà in questa manovra? «Reddito di cittadinanza, fiat tax e riforma della Fornero: sono tutti punti qualincanti. Non ho mai avuto retropensieri. Mai pensato di fare una riforma e non un’altra». Ma c’è un problema di compatibilita dei conti… «Avvieremo subito tutte e tre le riforme ma ci sarà un meccanismo di gradualità». Significa che, per esempio, il reddito di cittadinanza comincerà dalle pensioni? «Al momento non mi sento di fare anticipazioni. Mi limito a osservare che l’impatto di questa riforma sarà subito significativo». Sottoscrive quest’ipoiesi: pensioni di cittadinanza dal i gennaio, il resto nel 2019? «È una possibilità. Diciamo che stiamo valutando le riforme anche sul piano dell’attuazione temporale. Ma c’è un aspetto tecnico da tenere in considerazione. Perché 0 reddito di cittadinanza funzioni davvero, cioè per evitare che abbia una mera funzione assistenziale, bisogna prima riformare i centri per l’impiego »>. Se ne è parlato molto. Seguirete il modello tedesco? «Sì, ne abbiamo parlato con la Merkel a Berlino. E siamo in contatto con alcuni esperti della Germania». Per qualcuno le pensioni di cittadinanza sono paricolose: alcuni potrebbero smettere di versare i contributi… «Ho letto sui giornali quest’obiezione. Ne terremo conto, ma non credo ci sia questo rischio». E la fiat tax? «Ci sarà. Anche se, ragionevolmente, non potrà andare da subito a pieno regime». Ma si comincerà da persone fisiche o piccole imprese? «Vedremo. È un gioco a incastro. Ma fino a quando non avremo definito tutto non escluderei nessuna ipotesi». Un altro tema molto discusso è quello della pace fiscale. Lei è d’accordo con la proposta di alzare il tettoda 100.000 euro fino a l milione? «Stiamo valutando la soglia, ma per quanto mi riguarda la pace fiscale è imprescindibile». Imprescindibile? «Certo. Siamo d’accordo che oggi il fisco è iniquo e inefficiente?» Ci sembra un dato di fatto. «E allora se concordiamo su questa diagnosi, concordiamo anche sul fatto che dobbiamo partire con un progetto organico di riforma, basato su una nuova alleanza tra cittadino e fisco. Il fisco non deve essere visto come nemico». Ma nemmeno troppo amico degli evasori… «Infatti noi daremo forti segnali contro l’evasione e l’elusione, come previsto dal contratto di governo. L’inasprimento delle pene è un tassello fondamentale della nostra riforma fiscale». Inasprimento delle pene significa manette agli evasori? «Manette agli evasori è una sintesi giornalistica. Ma certo l’inasprimento delle pene significa che chi commette reato deve finire in carcere». Obiezione inevitabile: parla di maggiore severità mentre prepara un condono? «La pace fiscale non è un condono». Perché? «Condono significa fare cassa consentendo a tutti i furbi e i disonesti una via d’uscita, lasciando le cose come stanno. Come è stato fatto in passato». Invece la pace fiscale? «Noi proponiamo un meccanismo totalmente diverso dove l’azzeramento delle pendenze è funzionale per partire con un nuovo rapporto con il fisco». In questo quadro anche la soglia da 1 milione di euro per la pace fiscale non la disturba? «Nel quadro di una riforma organica possono essere considerate varie soglie, che non abbiamo ancora deciso». Sui giornali si è parlato anche di una possibile tassa sulle grandi imprese e sulle banche. insiste qualcosa del genere allo studio? «Non se ne è discusso». Non teme che la manovra, per tenere insieme tutto, sia troppo timida? Che non risponda alle grandi attese sus citate nei cittadini? «I cittadini si aspettano che il governo realizzi quanto scritto nel contratto di prog ramma nell’arco dei 5 anni di legislatura. Un mese prima o in mese dopo…» Lei dice che non conta? «È chiaro che bisogna far p resto. Ancora più importante è andare nella direzione giusta: se si imporrà una certa gradualità sono convinto che i e ittadini capiranno e non romperanno il patto di fiducia che hanno instaurato con noi». Si è parlato molto, però, di tensioni all’interno del governo. Ha visto vacillare il ministro Tria? «No, non l’ho mai visto vacilla re. Del resto, non c’ero gli annì precedenti, ma immagino che tutte le volte che si fa lina manovra economica il ministro dell’Economia diventi il terminale delle pressioni…». Il ministro Tria ha mai minacciato le dimissioni? «Se l’avesse fatto l’avrei saputo. E non mi risulta». A proposito di tensioni e pressioni, il decreto su Genova è incompleto. Manca la nomina del commissario… «Il decreto prevede che il cc mmissario sia nominato entro 10 giorni dal presidente del Consiglio dei ministri. Perché di te che è incompleto? » Perché manca il nome. «Non ne abbiamo parlato. Eravamo concentrati su quello che serve davvero per la ricostruzione a Genova e non solo. Penso anche a Ischia, per esempio». Ma il commissario sarà un tecnico 0 un politico? «Non abbiamo niente contro i politici, ma in questo momento ci servono soprattutto figure che diano garanzie sotto il orofilo della competenza tee nica e della capacità manageriale». Lei è d’accordo sul fatto che i Benetton devono pagare la ricostruzione del ponte, ma non tocca loro eseguire i lavori? «Assolutamente sì. E così abbiamo concepito il decreto: chiederemo ad Autostrade per l’Italia di anticipare i soldi e poi la ricostruzione avverrà a prescindere dal loro intervento». E lei è anche d’accordo nel ridiscutere il sistema delle concessioni autostradali? «Le due cose debbono procedere separatamente: un conto è la ricostruzione del ponte, un conto è il rapporto tra concedente è concessionario per quanto riguarda le autostrade». La procedura è avviata? «Sì, e non si interrompe con questo decreto». A che punto siamo? «Autostrade per l’Italia ha fatto pervenire le repliche alla nostra contestazione, come è giusto che sia. Le valuteremo nel merito». Qualcuno ha parlato di violazione dello Stato di diritto. «Vorrei ribaltare completamente quelle accuse. Ma scusate: crolla un ponte, muoiono 43 persone, e il governo non deve chiedere conto a chi lo gestiva? La verità è che sarebbe stato gravemente irresponsabile, giuridicamente e politicamente, se non avessimo avviato la procedura di contestazione». Ma lei sa che uscire da quella concessione sarà durissima, perché sono stati firmati accordicapestroi per lo Stato… «Che ci siano clausole favorevoli ad Autostrade per 1 Italia è sicuro, io quella concessione non l’avrei mai sottoscritta. Ma questo non significa che non ci sia un percorso giuridico serio e ben costruito per tutelare lo Stato». È possibile se non altro bloccare l’ulteriore proroga di quattro anni della concessione ai Benetton, dal 2038 al 2042, dal momento che pare non sia ancora stata firmata ufficialmente? «Quello è più difficile. Se mai fossimo costretti a pervenire a un compromesso tra le parti, potrebbe essere una soluzione. Ma in questo momento non considero questa ipotesi: ho avviato la procedura per la caducazione della concessione. A quello voglio arrivare». Passiamo all’altro tema chiave: l’immigrazione. Al Consiglio europeo di giugno eravate usciti tutti fiduciosi: l’Europa si muove. E invece l’Europa pare non faccia nulla. Dov’è l’errore? «Ho sempre avuto consapevolezza che stavamo fissando dei principi, un processo che poi andava attuato…». Sì, ma l’attuazione stenta. «È vero. Il presidente Juncker e i commissari europei che in agosto hanno ricevuto due mie lettere si sono attivati, questo sì. Ma i meccanismi di gestione europea non ce li abbiamo ancora. E quindi ci ritroviamo in difficoltà. L’ho ripetuto anche oggi (ieri, ndr) al presidente di turno Kurz: dobbiamo fare presto». Ma, a sentire il ministro lussemburghese Jean Asselborn, delle nostre difficoltà non importa molto al resto d’Europa… «Se pensano che sia un problema soltanto italiano, vuoi dire che gli anti europeisti sono loro». Di solito è l’accusa che fanno a noi. «Appunto. Va ribaltata. Non accetto lezioni da nessuno. Non le ho mai accettate, ma adesso meno ancora». Il ministro Asselborn dice anche che bisogna «fermare questi populisti». Si sente populista lei? «Io sono orgoglioso di essere leader di un governo populista. L’articolo 1 della Costituzione precisa che la sovranità appartiene al popolo». Però questo populismo spaventa molto… «Che cosa significa populismo? È la frattura fra il popolo e le élite politiche che lo hanno governato, la misura della distanza che si è creata fra di loro». In questa frattura si sono infilati alcuni movimenti politici. «Io penso che Lega e M5S offrano una rappresentazione e un percorso istituzionale alla rabbia e all’insoddisfazione popolare. Io stesso ho accettato l’incarico perché sono convinto che serva una soluzione a quella frattura fra élite e popolo di cui parlavamo. Perciò dico che sono orgogliosamente populista». Le navi delle Ong non sono più nel Mediterraneo. Lo reputa un successo? «Ho grande rispetto per le Ong e per le meritorie attività che fanno in giro per il mondo. Ma le loro navi nel Mediterraneo hanno rischiato oggettivamente, anche se inconsapevolmente, di offrire una sponda al traffico illecito di immigrati». Quindi è meglio che non ci siano più. «Il loro intervento non può essere la soluzione del problema». E la soluzione qual è? «Una strategia complessiva. Quella che abbiamo portato in Europa, articolata ed elaborata. La risposta non può essere solo l’emergenza». Nel frattempo si trova con il vicepremier Salvini indagato per sequestro di persona. Lei gli ha espresso solidarietà. Ma qualche volta i toni del leader leghista, così lontani dai suoi, le hanno dato fastidio? Ha mai pensato: sta esagerando? «Dico la verità: no. Salvini non ha mai creato, con le sue iniziative, uno scarto rispetto alla politica del governo in materia di immigrazione. Quindi il problema non si è posto». Ha condiviso tutte le decisioni che ha preso? «Questo governo ha condiviso in modo corale la strategia sull’immigrazione. E ci possiamo permettere di dire no all’accoglienza indiscriminata perché nel nostro progetto c’è attenzione alla tutela dei diritti fondamentali». Ma vi accusano di essere razzisti, xenofobi, si citano Mussolini e Hitler… «Questo governo non è razzista e Salvini non è xenofobo: dobbiamo sottrarci a simili ricatti che nascono malafede e spesso confidano nella soggezione culturale». Lei è d’accordo anche nell’accelerare le procedure di rimpatrio dei clandestini? «Questo è fondamentale. Ma ci vogliono gli accordi bilaterali con i Paesi. Anche in questo campo sarebbe importante il contributo dell’Europa: quando la commissione stipula intese di cooperazione con Paesi terzi dovrebbe ottenere in cambio la sottoscrizione degli accordi bilaterali». Il caso Diciotti ha evidenziato che noi accogliamo persone che non possiamo identificare e che si rendono irreperibili. C’è una soluzione? «Nelle conclusioni del Consiglio europeo di giugno si parla di centri controllati europei». Cosa vuoi dire? «Centri dove gli immigrati vengano raccolti e identificati. E dove vengono esaminate le loro domande». Ma questi centri sono fuori dall’Europa? «Sono centri europei. Alcuni sono fuori dall’Europa, nei Paesi terzi che potrebbero essere i Paesi di transito. Sarebbe anche più sensato perché così si evita l’attraversamento del Mediterraneo che ha provocato 34.000 morti in 15 anni… Altri sono in Europa, ma questo è un po’ scivoloso». In effetti: c’è il rischio che i centri in Europa alla fine restino tutti in Italia. «Sarebbe sbagliato e non potremmo mai accettarlo. Anche perché se fossero tutti in Italia non si riuscirebbero a gestire». Ma gli altri Paesi europei non sembrano intenzionati ad ospitarli. «Quando Macron sostiene che non ci saranno centri in Francia fa un’uscita politicamente insostenibile». Macron anti europeista? «Diciamo che la sua posizione non è in linea con le conclusioni da lui stesso approvate al Consiglio europeo». Il suo governo è accusato spesso di essere impreparato. Si mettono in evidenza errori e gaffe… «Il clima massmediatico non è certo gravido di preziosi consigli. Mettiamola così: non avverto una stampa particolarmente amica, ma non me ne faccio un cruccio». Si sente a capo di un governo giustizialista? «Assolutamenteiio». La legittima difesa è uno dei temi che divide la sua maggioranza… «È un tema delicato. Bisognerà trovare soluzioni fraivari progetti in Parlamento». Quindi non si procederà per decreto. «Non è all’ordine del giorno». E nei contenuti? «Alcune applicazioni giurisprudenziali lasciano una qualche incertezza che bisogna diradare. Se uno si è difeso non è giusto che si debba fare tre gradi di giudizio. Nello stesso tempo non avallerei una soluzione che possa dare messaggi sbagliati». In che senso? «Non si può giustificare la vendetta: se uno viene aggredito non può ritenersi legittimato a rincorrere l’aggressore e ammazzarlo». Le danno fastidio i due vicepremier così attivi e presenti, anche sul piano mecfiatico? «Non mi sento per nulla oscurato. Al contrario: l’ho voluto, l’ho posto io come condizione. Penso che sia un meccanismo che funzioni bene, al di là di come viene narrato». Michele Serra ha detto che lei è un vaso di gomma. «Sono passato dal vaso di coccio al vaso di gomma… Ci sta tutto, per carità. Ma io penso che la presenza dei dei due leader politici all’interno del governo dia forza al governo medesimo». Lo sente comunque come governo Conte? «Non è che lo sento: è il governo Conte». Le è costato molto rinviare il concorso per la cattedra alla Sapienza di Roma? «L’ho fatto per sensibilità istituzionale. Ho capito che poteva essere fraintesa. Ma in prospettiva mi sarebbe piaciuto lavorare a Roma, dove vive mio figlio, anziché a Firenze dove ho la cattedra». Ma fra 5 anni si immagina di nuovo all’università? «Farò il presidente del Consiglio impegnandomi al massimo fino all’ultimo giorno. Un minuto dopo, però, tornerò in Università a insegnare. Del resto ero lì anche quel mattino in cui sono stato chiamato al Quirinale…»
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