TACCUINO
Il ritorno della Festa dell’Unità e la difficoltà di riportarla a essere un appuntamento chiave della ripresa politica, sta stimolando le riflessioni di osservatori esterni e protagonisti della storia recente del centrosinistra. Semplificando, si va da Galli della Loggia che suggerisce di recuperare una parte dell’anima conservatrice che fu del Pci, per schierarsi più risolutamente, ad esempio in materia di immigrazione, sulle posizioni dell’ex-ministro dell’Interno Minniti, a Veltroni che vuol ricostruire un’identità di sinistra da contrapporre alla nuova destra rappresentata dal governo giallo-verde. In mezzo ci sono diverse posizioni, comprese quelle silenziose ma non rinunciatarie dei renziani, e c’è la confusione di un partito con troppi aspiranti alla segreteria, che ha deciso di fare il congresso prima delle europee, ma non sa quando. È difficile capire se e come verranno allo scoperto vere proposte politiche: se si tratterà di rimettere in discussione la stagione dello sconfitto riformismo renziano, o del solito rimescolamento correntizio, per costruire un qualsiasi assetto e un’altra segreteria di transizione. La difficoltà sta nel fatto che, fatta eccezione per il primo Ulivo di Prodi, quello delle privatizzazioni ora messe sotto accusa dai 5 stelle e delle riforme tentate ma non sempre realizzate, l’identità del centrosinistra si è sempre definita per contrapposizione, piuttosto che per qualità delle proposte. Nel cosiddetto «ventennio berlusconiano» il centrosinistra raccoglieva tutti e tutto ciò che era contro il Cavaliere. E quando Renzi ha provato a cambiare schema, tentando un’intesa temporanea con l’avversario, prima la coalizione, poi lo stesso partito si sono spaccati. Renzi inoltre aveva introdotto alcuni elementi di propaganda lo scontro con l’Europa «dei decimali», le polemiche contro istituzioni di garanzia come la Banca d’Italia ripresi, amplificati e volgarizzati dal governo gialloverde. Così anche oggi, se il Pd provasse a ricostruirsi in chiave filoeuropea-macronista, c’è da giurare che si dividerebbe ancora, come accadde durante la crisi di governo, perché al suo interno è rimasto chi si illude su un possibile accordo con i 5 stelle e su un’improbabile separazione del sovranismo di Salvini dal populismo di Di Maio.