Tutto nasce da un sondaggio ultrariservato, rimbalzato dai piani alti del Movimento fin nel cuore dell’esecutivo. Sostiene che tre questioni – Tav, Ilva e Tap – sono i principali ostacoli al consenso pentastellato.
Per reagire, Di Maio ha deciso di calare la ghigliottina almeno su uno dei tre nodi, in modo da scioglierlo. E la sentenza ha colpito proprio la Torino-Lione. La sfida, però, è delicatissima. Per fermare i lavori del tunnel c’è bisogno infatti di un provvedimento ad hoc in Parlamento.
Nulla di insormontabile, per il leader dei cinquestelle. Di Maio, assieme a Conte, pensa che la pressione dei No Tav non sia gestibile. Non, almeno, senza pagare un prezzo altissimo alle prossime Europee, bussola di ogni futura mossa del Movimento. Toninelli, per questo, è stato incaricato di orchestrare un crescendo di dichiarazioni volte a smarcarsi progressivamente dalla Torino – Lione. Prima reclamando una nuova valutazione dei costi e dei benefici dell’opera, poi ipotizzando una revisione volta a migliorare il progetto, infine scegliendo la strada dello scontro. Come? La strategia delle prossime settimane – spiegano le stesse fonti di governo – sarà quella di mettere in discussione gli impegni già presi dagli esecutivi precedenti, denunciando la responsabilità di un contratto sfavorevole per Roma e favorevole per Parigi. Con lo scopo di far saltare il tavolo. “Rifarsi al contratto di governo – ha sostenuto il ministro tre giorni fa – significa voler ridiscutere integralmente l’infrastruttura in applicazione dell’accordo con la Francia”.
È in questo passaggio la chiave delle decisioni assunte in questi giorni dal vertice pentastellato. L’opera italo-francese, come è noto, è finanziata per il 40% dall’Unione europea, che ha già investito 800 milioni. E il vertice grillino, azionista di maggioranza dell’esecutivo, pensa di fare marcia indietro restituendo quei fondi all’Europa. Toninelli ha già incaricato alcuni tecnici del ministero di lavorare in modo discreto per stabilire l’impatto del clamoroso reset. Nel governo si parte da una valutazione che oscilla tra un miliardo e un miliardo e mezzo di euro, comprensivi di penali e contenziosi legali con chi è chiamato a operare nei cantieri. Ma c’è di più. La società che gestisce il segmento centrale dei 57 chilometri di tunnel che unisce i due Paesi è interstatale: per metà controllata dalla Francia, per metà da una società-veicolo in mano a Ferrovie, i cui vertici sono appena stati azzerati dal ministro grillino e su cui i 5S puntano in vista delle nomine del nuovo board aziendale.
La tempistica, poi, è decisiva. Il completamento della Tav richiede ancora parecchi anni di lavori, mentre la decisione politica si può assumere per legge in tempi assai più rapidi. “Nessuno deve azzardarsi a firmare nulla ai fini dell’avanzamento dell’opera – è l’avvertimento di Toninelli – Lo considereremmo come un atto ostile”. I 5S vogliono rimetterla in discussione a partire dall’autunno, una volta chiariti costi e benefici. Proprio qui, però, si incastra questo match.
Il Carroccio non fornirà sponda ai pentastellati. “Noi della Lega – sostiene Edoardo Rixi, sottosegretario ai Trasporti del Carroccio – siamo favorevoli è un’opera strategica per l’Italia”. Gli uomini di Salvini, d’altra parte, non hanno rapporti con i No Tav. Devono rispondere al mondo produttivo del Nord Ovest. Di più: il Piemonte è chiamato alle urne nel 2019 e i vertici regionali del Carroccio hanno già contattato il leader e il sottosegretario Giancarlo Giorgetti – a cui tra l’altro è affidato il Cipe – per chiarire che una svolta di questo tipo avrebbe conseguenze economiche ed elettorali disastrose. Sullo sfondo, ma neanche troppo, già si intravede l’altra decisiva battaglia strategica dell’esecutivo: il Tap, il gasdotto che dal Mar Caspio dovrebbe portare energia in Italia fino a Lecce. È in cima alle resistenze della galassia cinquestelle.
Ma annullare il piano avrebbe costi talmente alt dal punto di vista geopolitico ed economico, che Di Maio e Conte si stanno convincendo dell’ineluttabilità dell’opera. Nulla è ancora defintivo, anche perché il premier è alla vigilia del viaggio da Trump, ma l’orientamento è quello di chiedere al massimo una ridefinizione del punto di approdo del gasdotto. Sarebbe sconfessare la storica posizione del Movimento e dare ragione a Michele Emiliano, ma governare impone sacrifici e compromessi.