Riguardo a Di Maio, c’è poco da aggiungere a quello che si è detto quando il candidato del M5S si recò al Quirinale per incontrare il segretario generale della presidenza. Ora è arrivata via mail la lista più o meno completa dei ministri “in pectore” di un ipotetico governo “grillino”. Tutto molto singolare e suscettibile di ironia. Ma al di là degli aspetti grotteschi di un’innovazione istituzionale del tutto inutile nella sostanza, resta da domandarsi perché. Per quale ragione all’ombra del Quirinale si gioca questo bizzarro minuetto, quando fra pochi giorni toccherà a Mattarella fare sul serio? E la risposta è che i Cinque Stelle vogliono far sapere che non sono più il partito dell’anti-sistema concepito da Grillo e da Casaleggio padre. Ora sono, o meglio vogliono essere, un’altra cosa. Anche se non si capisce esattamente che cosa.
In fondo c’è un nesso meno assurdo di quanto può sembrare fra il Di Maio chea Napoli bacia la teca con il sangue di San Gennaro e il medesimo Di Maio che a Roma spedisce la sua mail al capo dello Stato. In entrambi i casi s’indovina un desiderio di essere accolti in quel sistema politico-istituzionale che un tempo si annunciava di voler aprire come una scatoletta di sardine.
La rivoluzione è finita, ammesso che sia mai cominciata. E il sistema, sfilacciato e traballante più che mai, accoglie questo nuovo atto di trasformismo con l’illusione di puntellarsi meglio, quando invece il rischio è di veder accrescere il dissesto. Il secondo aspetto riguarda l’alleanza elettorale fra Berlusconi, Salvini e Giorgia Meloni. Si è scritto dell’incomunicabilità e dell’astio reciproco che condiziona i rapporti fra i tre. E questo è vero. Ma si è anche insistito sul vantaggio incolmabile che separava Berlusconi dagli altri due, per cui l’impronta della coalizione era nettamente moderata nel segno del partito popolare di Angela Merkel. Non solo: si puntava a un distacco abissale tra Forza Italia (a cui sommare la “quarta gamba” centrista) e la Lega proprio per rendere innocua quest’ultima e consentire il massimo margine di manovra a Berlusconi.
Oggi questo scenario è meno credibile. Con i sondaggi proibiti manca il riscontro, tuttavia si respira un’aria diversa e più preoccupata nei quartieri generali del centrodestra. Il timore di un Salvini in ascesa è palpabile. Quel Salvini che giura sul Vangelo a Milano, attirandosi tante critiche, ma che forse intercetta meglio di altri i sentimentie i malumori del paese profondo, specie dopo i fatti di Macerata e di Piacenza (il quasi linciaggio di un carabiniere).
E che si rivela per quello che è: un campione della destra continentale, senz’altro radicale sull’immigrazione,la moneta unica, il futuro dell’Europa. Ma al tempo stesso assai più dinamico di Berlusconi, le cui esibizioni tv sono apparse troppo statiche e ripetitive. Il leader storico del centrodestra stavolta non è riuscito a nascondere la sua età, per cui adesso la bilancia non si sa bene dove penderà. E la rotta della coalizione, dopo il voto, potrebbe diventare più avventurosa del previsto, accrescendo le incognite di un quadro già indecifrabile.