Taccuino
Una resurrezione politica così non se l’aspettava neppure lui, ottimista di natura. Passi – sia detto con tutto il rispetto – per Eugenio Scalfari, che dopo quasi trent’anni di lotta senza esclusione di colpi, ha detto che tra Berlusconi e Di Maio sceglierebbe senz’altro il primo. E passi per Bill Emmott, che da direttore dell’Economist firmò la famosa copertina-sentenza che giudicava l’ex Cavaliere «unfit to lead Italy». Ma che perfino il New York Times, vale a dire il più importante quotidiano del mondo, abituato per tradizione a intervenire sulle elezioni presidenziali americane, abbia sentito il bisogno di riabilitarlo, coniando per lui la simpatizzante definizione di «nonno della Patria», no: il vecchio Silvio un endorsement così non se lo immaginava proprio. E l’interpretazione del suo ritorno in campo fatta dall’autorevole giornale americano è straordinariamente corrispondente alla strategia comunicativa dell’ennesima riapparizione politica del leader di Forza Italia. Un ruolo misurato, di federatore più che di capo assoluto, com’era in passato. Nessuno sforzo di camuffare l’età – 81 anni! -, semmai la sapiente accortezza di porne in risalto gli aspetti positivi: l’esperienza, la saggezza, la pazienza. Mai repliche dure o avventate ai continui attacchi che gli assestano i suoi giovani alleati Salvini e Meloni, con i quali, ricorda sempre, alla fine ci si mette d’accordo. Colpi di teatro studiati – vedi i recenti incontri con i vertici della Commissione europea e con le autorità di Bruxelles -, senza nascondere le incomprensioni del passato, anzi cercando di ricucire gli strappi. E un campionario programmatico di proposte non necessariamente coerenti e in linea con quelle degli alleati, basate sul principio dello scaffale del supermercato o di certe vecchie ricette povere della cucina contadina: più ci metti e più ci trovi. La riabilitazione del Nyt, va detto, non è senza sconti: l’editoriale infatti ricorda tutte le peripezie giudiziarie passate e presenti di Berlusconi e gli attuali impedimenti a candidarsi e ad assumere cariche pubbliche, ciò che lo porterà più probabilmente a un ruolo di kingmaker, non esclusivo ma determinante, del nuovo governo che dovrà nascere, dopo elezioni destinate a concludersi senza un risultato chiaro. Se c’è una freccia avvelenata, che scocca dalle righe del grande giornale americano, è per l’establishment italiano, che ha pienamente riabilitato l’ex Cavaliere per paura dei 5 stelle, e differentemente da altri Paesi europei che hanno affrontato di recente l’insidia del populismo, non è stato in grado di esprimere una diversa alternativa. Come dire che l’Italia ha quel che si merita.
La Stampa – MARCELLO SORGI – 31/01/2018 pg. 9 ed. Nazionale.