Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, comandate dal maresciallo Koniev, abbatterono i cancelli di Auschwitz ed entrarono nel campo di sterminio: nei giorni immediatamente precedenti i tedeschi, consapevoli dell’avvicinamento dei sovietici, avevano iniziato ad abbandonare il campo, portando con sé i prigionieri ancora in grado di spostarsi, non prima di aver fatto un maldestro tentativo di nascondere le prove degli orrori perpetrati, facendo saltare i forni crematori che avevano così intensamente lavorato nei mesi precedenti. Ciò che trovarono coloro che entrarono per primi ad Auschwitz è nelle immagini che tutto il mondo conosce, per le quali qualsiasi aggettivo, qualsiasi termine risuona immediatamente inefficace, povero, riduttivo: circa 7000 internati abbandonati perché allo stremo e malati, deprivati di tutto – in primo luogo della dignità di esseri umani –, e gli strumenti e le strutture per una carneficina sistematica.
Il 27 gennaio è stato dunque simbolicamente scelto come Giorno della memoria, per ricordare i milioni di morti, ma anche coloro che nella tragedia non si sono piegati, non hanno tradito, hanno aiutato, sono rimasti umani. Non si tratta infatti solo di una commemorare una tragedia ma di porre uno sguardo fermo al passato in modo che diventi necessariamente nutrimento per il futuro: come ha sottolineato la neosenatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, «coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare». Alla ‘soluzione finale’ infatti non si arrivò in un giorno, ma lungo un processo di emarginazione, di colpevolizzazione che in Germania culminò nelle leggi di Norimberga del 1935 – la legge per la protezione ‘del sangue e dell’onore tedesco’, che vietava i matrimoni con gli Ebrei, la legge sulla cittadinanza che limitava di fatto pesantemente i diritti degli Ebrei – e ancora nella ‘notte dei cristalli’ nel 1938, in cui furono devastate le sinagoghe e i negozi degli Ebrei, in un crescendo delirante che sfociò nello sterminio.
In Italia furono le leggi razziali promulgate nel 1938 – di cui nel 2018 ricorre l’ottantesimo triste anniversario – a costituire uno spartiacque, a legalizzare l’ostilità contro gli Ebrei rendendoli definitivamente un capro espiatorio ideale: i provvedimenti principali riguardavano il divieto di matrimonio tra ‘ariani’ ed Ebrei, il divieto per gli Ebrei di essere dipendenti della pubblica amministrazione, delle banche, delle assicurazioni, di svolgere alcune professioni come il notaio, il giornalista o l’insegnante (se non in apposite scuole ebraiche), l’esclusione dei bambini ebrei dalle scuole italiane.
Il Giorno della memoria serve dunque anche a questo: a ricordare che ogni passo che si fa in direzione dell’intolleranza e dell’esclusione – anche se apparentemente non decisivo, non drammatico – porta in sé un potenziale distruttivo non governabile, anestetizza gradualmente le coscienze, abitua a considerare normale ciò che non lo è, apre la strada a derive dalle quali non si torna indietro; ed è per questo che si parte dalle scuole per sensibilizzare capillarmente soprattutto i più giovani, che tendono a dare troppe cose per scontate.
Le iniziative e gli eventi legati a questa giornata sono innumerevoli e attraversano mezzi di comunicazione e linguaggi diversi: Treccani ha scelto la realizzazione, in collaborazione con Controluce Produzione, di una web serie, L’ultimo grido, scritta e diretta dal ferrarese Giuseppe Muroni. Quattro episodi che attraverso le storie personali di altrettanti cittadini italiani di religione ebraica, interpretati da Monica Guerritore, Francesco Montanari, Stefano Muroni e Francesca Inaudi, raccontano il tragico impatto delle leggi razziali sulla vita di persone che da un giorno all’altro si ritrovano rinnegate dal proprio Paese ed escluse dalla comunità civile, sulla base di pretestuose distinzioni, prima ancora che perseguitate e uccise: nei quattro video, che andranno in onda venerdì 26 gennaio, il 2, il 9 e il 16 febbraio, la tragedia della grande Storia prende forma nelle tragedie individuali e nelle vicende quotidiane di uomini e donne normali in quattro città italiane.